I regimi nazi-fascisti portarono allo sterminio di almeno mezzo milione di persone rom. Un genocidio troppo spesso dimenticato, risultato di secoli di persecuzioni e discriminazioni.
Con il termine Porrajmos o Porajmos, letteralmente “divoramento”, si ricorda il genocidio di almeno 500 mila Rom e Sinti, vittime della follia nazi-fascista nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Come sottolinea lo studioso roma Santino Spinelli, queste stime sono approssimative. Le cifre reali potrebbero essere molto più elevate, fino ad arrivare ad 1 milione e mezzo di vittime. In pratica, Porrajmos (o Samuradipen, letteralmente “uccisione totale”) è l’equivalente del termine Shoà, ma non è (volutamente) altrettanto conosciuto.
Lo sterminio sistematico di Rom e Sinti fu il risultato di un lungo processo di inferiorizzazione, ghettizzazione e disumanizzazione, che nel corso dei secoli aveva profondamente segnato le politiche e le coscienze di tutti gli stati europei a partire dal XV secolo. Questo processo giunse al culmine nel fine Ottocento, momento cruciale nella storia di persecuzione del popolo rom, preludio agli orrori del Porrajmos.
Quando la “scienza” incontra il razzismo
Nell’Ottocento, in tutta Europa, si era oramai radicata la raffigurazione degli zingari come una “razza” -per usare il linguaggio dell’epoca- inferiore, amorale e degenerata. L’avvento del positivismo rafforzò questa convinzione, con l’avvio di studi pseudo-scientifici e antropologici. A questi, si sommarono le prime teorie razziste ed eugenetiche, le quali dichiararono la presunta inferiorità morale dei popoli rom come un limiti biologico, caratteristica atavica di un intero popolo.
L’individuazione di questi “caratteri ” costituì le fondamenta di quei processi di classificazione e gerarchizzazione che stavano avvenendo all’interno degli Stati. Determinare chi avesse le caratteristiche per essere definito uomo e chi no, servì a identificare i nazionali “puri” in contrasto con chi non lo era. Le massime del darwinismo sociale evidenziavano la contrapposizione tra umanità e animalità. In quest’ultima sfera vennero così relegate tutte quelle minoranze dai caratteri “animali”, in contrasto a quel nucleo “puro” e “umano” di nazionali, da difendere nella sua unità.
L’imperativo dell’epoca era, pertanto, quello di proteggere, con il beneplacito della scienza, questa presunta omogeneità e purezza, tramite processi di purificazione permanente e normalizzazione sociale. La società, insomma, doveva essere difesa
Contro tutti i pericoli biologici di quell’altra razza, di quella sotto-razza, di quella contro-razza.
M. Foucault , Bisogna difendere la società (1997)
In questo modo, vennero a crearsi le basi scientifiche a giustificazione delle sempre più violente politiche di discriminazione e repressione di intere popolazioni, tra cui Rom e Sinti.
L’eugenetica e il “problema zingari”
A fine del XIX e all’inizio del XX secolo si moltiplicarono gli studi “antropologici” ed eugenetici che predicavano la “disposizione al delitto” degli zingari e la loro innata malvagità. Pubblicazioni quali L’uomo delinquente (1856) di Cesare Lombroso o il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1855) di J.A. de Gonineau consolidarono le teorie razziste e influenzarono i politici nell’attuazione di provvedimenti contro le famiglie romanès.
Le nascenti dottrine eugenetiche intendevano migliorare la razza umana attraverso la selezione naturale, difendendo l’esistenza di una fantomatica purezza. Fu il preludio della politica di sterminio che si sviluppò in Europa.
Era necessario, dunque, risolvere il “problema zingari” poiché “inquinava la purezza della “razza ariana”.
S. Spinelli – Rom, genti libere (2012)
Rom e Sinti erano considerati “asociali” e “inferiori”, delinquenti innati che contribuivano solamente ad “inquinare” la società.
L’escalation delle persecuzioni
A partire dai primi anni del Novecento, le ricerche eugenetico-razziali giustificarono una pericolosa escalation di leggi repressive e atti persecutori in tutta Europa contro le comunità romanès. Nel 1912 in Francia, il governo Clemenceau approvò leggi discriminatorie su base etnica, imponendo un documento antropometrico a tutte le famiglie romanès. Nel 1920 in Germania venne imposto il divieto a Rom e Sinti di entrare nei parchi e nei bagni pubblici, mentre nel ’26 il Parlamento bavarese emanò una legge per “combattere gli zingari e i renitenti al lavoro”. Tale normativa giustificò l’internamento delle persoe rom che non avevano un lavoro nelle case di riabilitazione, mentre i figli venivano sottrati e dati in affidamento.
In Svezia, nel 1934, iniziarono le sterilizzazioni obbligatorie delle donne appartenenti alle comunità romanès. In Germania, lo psichiatra Robert Ritter arrivò persino a teorizzare l’esistenza del presunto gene wandertrieb (istinto al nomadismo). A seguito di questo studio pseudoscientifico, 148 bambini, nel 1944, verranno condannati alle camere a gas.
Porrajmos: il genocidio della popolazione rom
Il 6 giugno 1936 in Germania venne emanato un decreto per combattere la “piaga zingara”, in quanto la popolazione rom era ritenuta pericolosa per la società. Si intensificarono e sterilizzazioni forzate di donne e bambine, proliferarono i campi di internamento e tutta la popolazione rom venne schedata. Si andava compiendo quel processo che Hannah Arendt ha definito di “snaturalizzazione di massa”. Fu così che dichiarazioni come quella di Johannes Behrendt (direttore del Dipartimento dell’Igiene Razziale tedesco) diventarono la normalità:
Tutti gli zingari dovrebbero essere trattati come malati ereditari, la sola soluzione è l’eliminazione. L’obbiettivo dovrebbe essere perciò l’eliminazione senza esitazione di questo elemento difettoso della popolazione.
Tutto era ormai pronto alla “soluzione finale”, ossia l’eliminazione della popolazione rom attraverso il genocidio di massa. Il progressivo isolamento sociale – avvenuto attraverso un’abile manipolazione mediatica- e giuridico aveva escluso Rom ed Ebrei da ogni status giuridico, creando
Una condizione di completa assenza di diritti prima di calpestare il diritto alla vita.
H. Arendt , Le origini del totalitarismo
A partire dal 1940, in tutta Europa si diede il via al rastrellamento della popolazione rom. I governi legittimarono l’espropriazione dei lorio veri, l’impiego di bambini e adulti come cavie in esperimenti pseudo-scientifici e la deportazione nei campi di concentramento.
Il Porrajmos “italiano”
Anche in Italia le discriminazioni lasciarono spazio a misure sempre più violente. L’1 settembre 1940, la circolare 63462/10, invitata ad ogni prefettura del Regno, si ordinò l’internamento di tutti i Rom e Sinti della penisola. Cominciò così la deportazione di intere famiglie, le quali furono costrette a vivere in condizioni disumane. Le testimonianze e i documenti dello sterminio, tuttavia, sono frammentati. Le persecuzioni del popolo rom rimangono tutt’oggi avvolte dal silenzio. Abbiamo ad ogni modo testimonianza certe dell’esistenza di alcuni campi, quali quelli di Boiano (Campobasso), Tossicia (Teramo), Berra (Ferrara), e così via.
Le vittime tradite del Porrajmos
Sebbene lo sterminio avvenuto durante i regimi nazi-fascisti abbia colpito centinaia di migliaia di persone rom, i termini Porrajmos e Samuradipen sono, al contrario di Shoà, ancora sconosciuti ai più. Il processo di Norimberga del 1945 escluse completamente le comunità rom e sinte. Alla popolazione romanès non furono riconosciuti quei risarcimenti economici e morali di cui fu reso oggetto il popolo ebreo. La loro più fragile organizzazione interna, la mancanza di supporto internazionale e la dispersione territoriale non riconducibili ad alcun tipo di unità statale, indebolirono drasticamente la loro posizione. All’epoca, il governo tedesco si giustificò di questo mancato riconoscimento sostenendo che:
Rom e Sinti furono perseguitati non per motivi razziali, ma in quanto asociali e criminali. (…) e nel 1988 si rifiutò di risarcire le vittime del genocidio.
S. Spinelli – Rom, genti libere (2012)
Le vittime del Porrajmos sono rimaste avvolte dal silenzio, così come dimenticati sono stati anche tutti quei Rom e Sinti che parteciparono attivamente tra le file della Resistenza in Italia. La sofferenza di un intero popolo viene, ancora oggi, relegata nell’ombra, così come i suoi appartenenti.