Un pene, una vagina, un ano, una mano chiusa a pugno, copiosi fluidi sessuali possono avere la carica esplosiva di una bomba? Assolutamente sì, secondo l’attivista Diana J. Torres. Che nel suo saggio Pornoterrorismo racconta una sessualità brutale, perturbante, eversiva come strumento di libertà armata.
Pornoterrorismo di Diana J. Torres (D Editore, 2014) non è un libro per deboli di stomaco. È, certamente, un manifesto politico e sessuale: per esserlo, però, cala l’argomentazione nella carne viva dell’esperienza biografica, nel contesto di pratiche decisamente sconcertanti. Nel Prologo scritto da Helena Torres, ad esempio, è rappresentata una tipica performance pornoterrorista dell’autrice. Che consiste nel farsi masturbare selvaggiamente da una collega performer. Leggere nuda una propria poesia davanti alla platea. E, infine, consumare con la stessa collega un rapporto sessuale utilizzando come dildo un salame di considerevoli dimensioni infilato in un preservativo. Il tutto con proiettate sullo sfondo immagini di smembramenti umani e animali, mentre l’audio a malapena sovrasta i gemiti della coppia impegnata sul palcoscenico. Duplice orgasmo, naturalmente, duplice squirting, applauso finale, taglio del salame e momento di convivialità con il pubblico in chiusura.
«Che cosa DIAVOLO ho appena letto?»: questa – insieme, probabilmente, a un lapidario «Ugh!» – potrebbe essere la comprensibile reazione del lettore. Perché Pornoterrorismo, come si accennava sopra, è un libro che prende a calci nello stomaco praticamente a ogni pagina. Ma per dimostrare cosa? La risposta è lucidissima:
Naturalmente, non è necessario infilarsi pugni nel culo o nella fica venendo a fiumi, né organizzare orge quotidiane, per liberarsi dalla repressione sessuale. Basta essere consapevoli del fatto che possiamo fare quello che più ci pare con il nostro corpo, senza per questo essere malati e/o delinquenti. Ci sono pratiche che potranno piacere più o meno, ma è importante conoscere la quantità di sfaccettature che esistono nel sesso. Per poter realmente sapere cosa ci piace, dobbiamo azzardarci a scoprirlo. Insomma: non lasciatevi fermare, non restatevene con la paura, né con la rabbia. Azione.
Il pornoterrorismo, qualunque cosa sia – si inizia a capire a questo punto -, è una assunzione di libertà.
Ma che significa «Pornoterrorismo»?
La migliore spiegazione viene dal blog dell’autrice, dove si legge:
Esiste fusione più bella di quella tra le parole “porno” e “terrorismo”? L’erotica del terrore, un territorio inesplorato che si apre davanti a noi come un cadavere in attesa dell’autopsia. Allo stesso modo in cui i funerali mi fanno ridere, l’immagine di un bel cadavere, a volte, mi può far bagnare le mutande. La prima sensazione è che non si potrà mai superare l’imbarazzo della situazione, l’umiliazione imposta dalla società quando qualcosa di politicamente scorretto ci seduce. Ma si supera. Oh sì, si supera masturbandocisi su. Un primo atto di culto al terrore. L’unico modo di vincerlo è lasciandosene sedurre. Trasformandosi nella sua tenera amichetta.
Ancora più esplicito, in effetti, è a questo proposito il sottotitolo scelto da Torres per il suo blog: «per il diritto di arraparmi con ciò che più mi pare».
“Pornoterrorismo“, dunque, è il nome che prende uno sforzo che mira a innescare un decentramento estetico e una sospensione etica nei destinatari. Ed è – Torres non ha problemi a dichiararlo – uno sforzo violento. Violento, precisa però, solo internamente: fa violenza ai cervelli per spingere a pensare diversamente i corpi e la sessualità propri. Ed è violento proprio perché reagisce a una violenza. Quella esterna, costrittiva, di un sistema che rende insensibili tanto all’orrore quanto al piacere per controllare gli individui, rendendoli docili, obbedienti, repressi consumatori.
Scopare con o scopare contro?
Pornoterrorismo è un libro fastidioso, perché costringe a guardare dove non si vorrebbe. Oppure, perché una sbirciatina in certe zone dell’umano, al contrario, la si darebbe volentieri. Ma è soprattutto un libro che ricorda quanto il corpo sia politico. Una posizione sessuale è una presa di posizione, nella prospettiva di Torres. Non c’è pratica – come aveva ben inteso Foucault – del corpo e del piacere che non sia plasmata dal collettivo. Una “messa in forma” che è formazione e deformazione a un tempo, orientamento ma anche mutilazione di possibilità intrinsecamente umane. Contro tale mutilazione, Torres invita a ribellarsi sperimentando instancabilmente con il corpo e la sessualità.
L’operazione compiuta in Pornoterrorismo di far saltare norme nascostamente ma violentemente repressive è senz’altro rivoluzionaria. Tuttavia, questa rivoluzione lascia dubbi pesanti.
Anzitutto, sul ruolo che spetta alla relazione con l’altro. Se un organo è dinamite, se una pratica sessuale è un attacco al potere, cosa resta della sessualità come campo di conoscenza dell’altro? La sessualità guerrigliera raccontata nel testo è estremamente egocentrica. È un’esplorazione di sé spinta al limite: l’altro/a può essere una persona così come un dildo, una testa di maiale, un qualsiasi oggetto di scena.
In secondo luogo: una libertà così concepita è davvero antagonista, o fa il gioco del sistema che disprezza? Il diritto di eccitarsi con ciò che meglio pare sembra potersi ridurre, in fin dei conti, a una richiesta di ampliamento dell’offerta sul mercato. Se il pubblico vuole il gore, se vuole fustigazioni e mutilazioni, si troverà il modo per farglielo avere. La libertà di chiedere questo deve mettere in conto anche i modi in cui questo genere di performance e materiali verranno prodotti. Per questa libertà è giusto lottare?
Valeria Meazza