Il 9 aprile in un ospedale di Boa Vista (Brasile), dopo una settimana di ricovero, moriva Alvanei Xirixana, un giovane indigeno yanomami affetto da coronavirus. La morte di un ragazzo di appena 15 anni ha scatenato la paura dei popoli nativi e mostra come il coronavirus possa colpire anche le popolazioni indigene dell’Amazzonia.
La paura si è sparsa non solo in Brasile, primo stato sudamericano per numero di contagi, ma anche in Ecuador, attualmente la seconda nazione più colpita dalla pandemia, in Perù e in Venezuela.
La comunità amazzonica
La vita delle popolazioni indigene dell’Amazzonia è minacciata da fattori già noti. La deforestazione, l’allevamento di animali, la caccia all’oro e attività minerarie illegali hanno generato una monetizzazione dell’economia delle popolazioni dell’Amazzonia. A causa del mutamento economico e del contatto – imposto o meno – con la società esterna, la popolazione ha conosciuto cambiamenti nella dieta e nelle abitudini. Tra le altre cose, queste comunità sono state esposte a nuove malattie prima sconosciute.
Per cercare di proteggere la salute delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, associazioni come la Rete Ecclesiastica Panamazzonica (REPAM) in Perù e Brasile e Amazon Frontline in Ecuador hanno chiesto ai rispettivi governi di prendere misure necessarie per garantire il diritto alla salute dei nativi. Tra le richieste avanzate vi è un rafforzamento delle strutture sanitarie nelle zone rurali, una campagna di prevenzione nelle lingue locali e la fornitura di viveri tra le popolazioni indigene per evitare la diffusione del contagio.
Le risposte governative
In Ecuador, dove la situazione per le popolazioni indigene dell’Amazzonia è particolarmente delicata per via della vicinanza alla foresta amazzonica della città di Guayaquil, il governo ha già diffuso una campagna di prevenzione in vari dialetti locali.
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— Secretaría de Derechos Humanos del Ecuador (@DDHH_Ec) March 31, 2020
Venerdì scorso il governo peruviano ha proposto un sussidio in denaro per ogni membro delle popolazioni indigene dell’Amazzonia. La proposta è stata però rifiutata dalle organizzazioni amazzoniche a causa dei rischi che implicherebbe l’attuazione di questo piano. Si pensa, infatti, che un sussidio individuale spingerebbe gli indigeni a spostarsi nelle città per acquistare i beni necessari, rischiando l’aumento di contagi. Per questo motivo, le associazioni hanno sollecitato la richiesta di viveri e utensili. Un altro elemento fondamentale delle domande delle associazioni al governo è il potere di vigilare su strade e vie fluviali. Quest’ultima richiesta è giustificata dal fatto che molto spesso i governi nazionali non sono a conoscenza delle strade create nei territori delle foreste amazzoniche, utilizzate da estrattori d’oro e narcotrafficanti per evitare controlli e perquisizioni.
Non solo coronavirus
Il disinteresse dei governi verso le popolazioni indigene dell’Amazzonia, se non l’aperta ostilità come nel caso del Brasile, spianano la strada alla diffusione del contagio. Inoltre, non sono sparite le minacce del passato all’equilibrio della foresta amazzonica e la sua comunità. Mentre l’attenzione globale e nazionale si focalizza sulla lotta al virus, la deforestazione, l’allevamento intensivo, le attività minerarie e altri traffici illegali proseguono indisturbati.
Noemi Rebecca Capelli