Pop art: arte inclusiva o esclusiva?

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“Tutto è bello” affermava discutibilmente Andy Wharol, padre della pop art, intendendo che tutto aveva il valore di essere raffigurato decretando uno stato di “democrazia visiva”.

In realtà egli stesso era vittima di una funzionalizzazione dell’arte e di una “oligarchia visiva”.

Il principio del privilegio diffuso di scegliere ritratti di gente famosa e di iconizzare opere del passato con tratti fumettistici asserviva l’immaginario comune, subordinato alla mercè del dilagare del totalitarismo consumistico. Gli oggetti rappresentati venivano prescelti in base alla semiotica che acquisivano nel quotidiano reale, il loro status, rispondente alla funzione sociale, costituiva il precetto visivo.




Il carisma mediatico dei personaggi famosi che trascendeva il concetto di morte e assurgeva a dimensione mitica. La serialità, la compulsione, l’ossessione.

Jasper Johns, altro capostipite della pop-art, benediva l’atto della creazione artistica come una monade. Il concettualismo permeava il suo stilema basato sulla dialettica tra il piano del familiare e il suo superamento. Ciò che andava oltre il reale e lo sopraffaceva, l’illusione coatta e lo svuotamento di senso umano, approdando al “non artistico”.

Il connubio familiare-popolare (popular art), l’espresso riferimento al quotidiano, il consumo portato all’eccesso, l’imposizione di una cultura di massa erano i parametri idiomatici della pop-art.

Rauschenberg con la sua arte tangibile, inverosimile, dominata da un polimaterismo di cartone acciaio e stoffa che sentenziava il tempo, la durata. Egli introdusse l’afflato temporale nella pittura, il decorso del transitorio si rivelava.

La realtà come ispirazione portava G. Segal a riprodurre la gestualità quotidiana con dei veri e propri automi di proporzioni reali, mentre C. Oldenburg rappresentava la marcescenza del tecnologico con oggetti logorati e beni materiali di dimensioni alterate a significare il monopolio del consumo.

Il focus di questi artisti era come adattare la realtà tecnologica all’habitus artistico, essi si interrogavano sulla necessità di un’arte esclusiva o inclusiva del reale e propendevano per diverse soluzioni stilistiche che suffragassero un nuovo linguaggio espressivo che accogliesse il sentire contemporaneo.

 

Costanza Marana 

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