La recente decisione di Budapest di concedere asilo politico a Marcin Romanowski, esponente di spicco del Pis, ha acceso una nuova e vibrante controversia tra la Polonia e l’Ungheria: i due paesi, nonostante siano tradizionalmente alleati nell’ambito dell’Unione europea, si trovano ora su posizioni opposte in relazione un tema altamente delicato. Il caso, reso noto dal vice-ministro degli Esteri polacco Andrzej Szejna, potrebbe sfociare in un procedimento legale dinanzi alla Corte di giustizia europea, sottolineando il crescente divario tra le due nazioni dell’Europa centrale.
La figura di Marcin Romanowski rappresenta un punto di tensione politico e legale: ex viceministro della Giustizia durante la fase di governo del PiS e ora membro dell’opposizione, è attualmente ricercato dalle autorità polacche con l’accusa di corruzione e su di lui pendono ben 11 capi d’imputazione, tra cui anche l’aver utilizzato il crimine come fonte di reddito.
Secondo Varsavia, il cui tribunale ha emesso un mandato d’arresto europeo contro il deputato, le accuse a suo carico sono fondate e rappresentano un caso emblematico di lotta alla criminalità economica: per questi motivi, in Polonia Romanowski rischia ben 25 anni di carcere.
Tuttavia, Budapest ha interpretato la situazione diversamente, considerandolo una vittima di persecuzione politica e offrendo asilo politico in virtù del principio di protezione internazionale.
In una recente intervista, Marcin Romanowski ha dichiarato:
«Questo è il modo in cui considero la mia missione qui sul Danubio, per combattere, ovviamente non contro lo Stato polacco, ma contro coloro che hanno occupato questo Stato. Siamo onesti: penso che molte persone ora si pentano delle decisioni che hanno preso durante le elezioni dell’ottobre dello scorso anno ma dobbiamo solo sistemare la situazione. La mia missione è quella di rimuovere il più presto possibile dal potere questo regime dannoso, illegale, che nuoce soprattutto ai polacchi, alla Polonia, al suo sviluppo, e per ristabilire un certo ordine nella nostra realtà economica, sociale e giuridica.»
Inoltre, in una lettera al ministro Adam Bodnar, Romanowski ha esposto le condizioni in base alle quali sarebbe pronto a tornare in Polonia per affrontare le accuse a suo carico, tra cui la pubblicazione di tutte le sentenze della Corte Costituzionale che da diversi mesi sono illegalmente bloccate dal Primo ministro Tusk e la cessazione delle manipolazioni illegali nel sorteggio dei giudici per le cause penali.
Le reazioni: verso una rottura diplomatica definitiva?
Questa mossa unilaterale da parte dell’Ungheria ha scatenato un’ondata di critiche da parte del governo polacco, che considera la decisione un’interferenza nei propri affari interni. Varsavia sostiene che la concessione dell’asilo a Romanowski comprometta la cooperazione bilaterale e mina la credibilità delle istituzioni giuridiche polacche.
Andrzej Szejna, in una dichiarazione ufficiale, ha ribadito l’intenzione del governo polacco di presentare ricorso alla Corte di giustizia europea, evidenziando come la decisione ungherese rappresenti una violazione del diritto comunitario e degli accordi di cooperazione giudiziaria all’interno dell’UE.
L’Unione Europea, già alle prese con sfide significative in termini di coesione e unità politica, si trova ora di fronte a un caso che rischia di accentuare ulteriormente le divisioni interne: la vicenda Romanowski rappresenta infatti un banco di prova per il sistema giuridico e politico europeo, chiamato a mediare tra il rispetto della sovranità nazionale e la necessità di garantire l’applicazione uniforme delle norme comunitarie.
La Commissione Europea potrebbe essere chiamata a svolgere un ruolo di mediazione, cercando di evitare un’escalation che potrebbe avere ripercussioni negative su altri ambiti di collaborazione tra gli Stati membri.
Mentre è in atto il dialogo tra Donald Tusk e Viktor Orbán, l’ambasciatore polacco a Budapest è già stato richiamato da Varsavia.
Divergenze: il principio di rule of law al centro
Gli osservatori internazionali hanno sottolineato come questa disputa rifletta una più ampia dinamica di tensioni all’interno dell’Europa orientale: Polonia e Ungheria, nonostante condividano un passato di cooperazione politica su questioni quali l’opposizione alle politiche migratorie dell’Ue e la difesa della sovranità nazionale, hanno mostrato divergenze sempre più marcate negli ultimi anni. La gestione del caso Romanowski sembra dunque rappresentare un ulteriore elemento di frizione in un rapporto già compromesso.
In aggiunta, al centro di questa controversia vi è anche una questione più grande legata al rispetto dello stato di diritto e all’indipendenza delle istituzioni democratiche: Varsavia accusa Budapest di proteggere un individuo che, secondo le autorità polacche, è coinvolto in attività illecite e cerca di sfuggire alla giustizia. L’Ungheria, dal canto suo, difende la propria decisione sostenendo che le accuse contro Romanowski siano motivate da ragioni politiche, piuttosto che legali. Questo scambio di accuse mette in evidenza le difficoltà nel bilanciare le diverse interpretazioni dello stato di diritto all’interno dell’Unione europea.
Il ruolo della Corte di giustizia europea: cosa riserva il futuro?
La possibile apertura di un procedimento presso la Corte di giustizia europea segnerà un passaggio cruciale nella gestione di questa disputa. Si tratterà però di un processo piuttosto lungo (di circa due anni), in cui la Polonia dovrebbe prima presentare un reclamo alla Commissione europea.
La Polonia è determinata a dimostrare che la decisione ungherese viola i principi fondamentali dell’Unione, tra cui la cooperazione e la fiducia reciproca tra gli Stati membri (art 259 del TfUE e art.4 del Trattato di Maastricht). L’Ungheria invece potrebbe cercare di sostenere la legittimità della propria azione facendo leva sul diritto di ogni Stato membro di concedere asilo politico in casi ritenuti necessari.
Questo caso solleva anche interrogativi importanti sul futuro delle relazioni intraeuropee. Il raggiungimento di un terreno comune tra gli Stati membri per risolvere questioni che toccano i principi fondamentali dipenderà in gran parte da come l’Ue saprà gestire situazioni come quella in esame, bilanciando le diverse esigenze e promuovendo una maggiore armonia tra le proprie nazioni.
Con Varsavia e Budapest su posizioni opposte, il rischio di un deterioramento ulteriore delle loro relazioni è reale. Allo stesso tempo, questa disputa offre all’Ue un’opportunità unica per rafforzare il proprio ruolo come garante del rispetto delle regole comuni e come mediatore tra le diverse istanze nazionali.
Resta da vedere se le istituzioni europee sapranno cogliere questa sfida per riaffermare la loro capacità di garantire coesione e solidarietà all’interno dell’Unione.
Sara Coico