Discutere sui social media sembra essere diventato impossibile. Negli ambienti digitali (e fuori) il discorso politico è caratterizzato da contrasto e divisione, e da una scioccante assenza di dialogo. Fra le teorie attuali, quella della “Camera di eco” sta perdendo valore, sostituita da studi su come gli ambienti digitali abbiano influito sulla nostra identità.
Polarizzazione politica e declino del discorso pubblico negli ambienti digitali – Lo strumento di internet, il cui scopo era quella di creare un discorso pubblico a più voci e di proporre nuovi punti di contatto, presenta adesso, specie attraverso i social media, una realtà particolare, dove a una maggiore partecipazione del pubblico verso tematiche di importanza pubblica, si alterna una dialettica caratterizzata dalla ricerca di divisione e di conflitto.
Gli esempi sono molteplici e variegati: dalla crescente faziosità e pressione sociale nell’assumere posizioni ideologiche in relazioni a questioni di ogni tipo, a un crescente divario nei metodi di informazione a livello generazionale e alla diffusione di ideologie caratterizzati da tratti di cultismo e complottismo.
Le ipotesi attuali sulle motivazioni sottostanti al fenomeno riconducono solitamente alla teoria dell’ “Echo chamber”, ma la realtà del fenomeno pare essere più complessa e affascinante, toccando la spinosa questione dell’identità nel mondo digitale e di come si possa facilmente sviluppare una “resistenza” a visioni del mondo contrastanti le nostre.
Polarizzazione politica, ideologica, affettiva
Una prima importante distinzione, definita dai dottori in psicologia Emily Kubin e Christian Von Skirorski dell’università di Landau è quella fra polarizzazione ideologica e affettiva all’interno dello spettro politico. Dove la prima identifica una prospettiva direttamente orientata alle interpretazioni individuali della propria visione politica, e alle relazioni che si intrattengono con persone appartenenti a ideologie differenti, la seconda si riferisce invece all’elemento emotivo dell’appartenenza a un gruppo politico.
La prospettiva affettiva si rifà quindi a una questione di identità, a come dunque le dinamiche del mondo politico si interfacciano con la sfera del personale. La polarizzazione affettiva riflette un aspetto importante dell’informazione contemporanea, quella in cui si mischiano aspetti relativi all’emotività e alla percezione del sé.
Un esempio lampante di polarizzazione politica affettiva è quella relativa alle tematiche queer. Sia da parte della comunità LGBTQ+ che nei suoi detrattori, il contrasto fra le due prospettive affronta obbligatoriamente questioni di identità: si pensi infatti a come spesso la supposta “minaccia” dell’ideologia di genere venga proposta negli ambienti di destra come una “minaccia al modo di vivere e ai propri figli”.
La polarizzazione politica affettiva è quella posta al centro del dialogo contemporaneo: sotto numerosi aspetti, le prospettive politiche contemporanee sono infatti divenute intersezionali, prevedendo un’attuazione della propria ideologia su diversi piani d’azione allo stesso tempo, e influenzando così diversi strati identitari.
Una questione di identità – contro la teoria dell’Echo Chamber
Non è raro imbattersi, anche sul territorio italiano, con la parola “Echo chamber”. La “camera dell’eco” è essenzialmente un ambiente, spesso digitale, in cui determinate visioni del mondo vengono rafforzate attraverso l’incontro tra individui di simili opinioni e l’assenza di un contradditorio.
E alle “echo chamber” è spesso affidato un ruolo primario nella radicalizzazione e polarizzazione politica nel mondo digitale, poiché la loro presenza sembra essere facilitata dagli algoritmi di selezione del contenuto dei social media e dei motori di ricerca, i quali tendono a suggerire il consumo di contenuti verso cui l’utente è già positivamente predisposto.
Ma tale spiegazione sta cominciando a essere disputata: è dopotutto piuttosto comune trovare in rete litigi e “raid” di persone politicamente orientate su contenuti divisivi e polarizzanti. Nell’elaborato di Petter Törnberg, professore in scienze sociali computazionali all’Università di Amsterdam, la teoria dell’ Echo Chamber viene anzi definita come un “cul-de-sac intellettuale”.
Secondo Törnberg quel che accade è l’esatto contrario: i social media spingono infatti a entrare in contatto diretto con visioni del mondo contrastanti, e così facendo favoriscono la spinta a una “presa di posizione”, a un’assunzione di tratti oppositivi che accentuano una percezione di “noi contro loro” caratterizzata da tratti di odio e disumanizzazione nei confronti di persone appartenenti a quella che, si può ora definire, è una fazione opposta.
Un altro ruolo importante dei social media nell’accentuare la polarizzazione, secondo gli studi condotti dal professore, è quello di eliminare gli elementi più propriamente inerenti al territorio e alla politica locale e proporre invece un’omologazione dell’ideologia. Rifacendosi alla politica statunitnese, Thornberg discute infatti di come l’ideologia repubblicana sia passata da una ricezione di diverse interpretazioni politiche intimamente collegate alla realtà degli stati a un’adozione in toto di correnti attraversanti l’intero territorio USA, quando non all’intero mondo.
Una globalizzazione delle opinioni politiche, spesso ultimamente contraddistinte infatti da un forte tendenza al bipartitismo e alla percezione delle differenze come essenzialmente antitetiche alla propria identità e, dunque, da contrastare e eliminare.
La polarizzazione politica “fa views”: una questione di media
Un ruolo importante viene giocato anche dai media, siano essi nuovi e tradizionali. Alcuni studi affermano infatti che viene dato maggiore spazio su quotidiani e articoli a figure politiche le cui affermazioni risultino particolarmente polarizzanti, essendo in grado di catturare maggiormente l’attenzione sia di chi si trova in accordo, sia dell’opposizione.
Un trend che spiega la particolare visibilità che hanno – anche in Italia – certe figure politiche particolarmente abrasive (per evitare di alimentare tale tendenza, lascerò allo spettatore di immaginare liberamente a chi mi sto rivolgendo), e che permette anche di intuire maggiormente come personaggi quali Donald Trump siano state capaci di ottenere notorietà politica a livello internazionale nonostante (o grazie) alle loro affermazioni iperboliche.
Lo stesso vale per i contenuti di informazione non giornalistici: video e post a tema politico dal tono denigratorio nei confronti di personaggi politici hanno una maggiore affluenza che contenuti invece più moderati e strutturati.
Certo, non è una scoperta sorprendente che articoli e video giocanti sull’aspetto emotivo e “di pancia” abbiano un maggiore effetto sull’utente e solitamente comportino una maggiore interazione, ma c’è da chiedersi se, all’interno di dinamiche sociali sempre più conflittuali e divisive, la responsabilità di chi si occupa di informazione non sia quella invece di proporre un attenuamento di tali meccanismi.
La polarizzazione politica e identitaria e il declino del dialogo
L’elaborato di Törnberg si conclude con la seguente affermazione:
Teorici e accademici hanno a lungo affermato che le società stabili e coesive sono caratterizzate non tanto da un’assenza di conflitti, quanto da un’insieme di conflitti diversi in grado di bilanciarsi fra loro; ogni conflitto è infatti intersecato ad altri, creando una ragnatela coesiva fatta di numerose spaccature e prospettive. (…) La tendenza contemporanea alla polarizzazione esprime invece un progressivo smembramento di tale tela, in cui i conflitti si allineano a formare una singola spaccatura, formando così una forma di faziosità che aggrega a sé sempre più posizioni, valori, preferenze culturali. Il risultato è una forma di polarizzazione contraddistinta dalla visione di differenze, sfiducia e disdegno per l’opponente politico. Una polarizzazione affettiva.
Una creazione di macro-gruppi politici, caratterizzati da forti tratti identitari, dunque, in cui il dialogo e il discorso costruttivo viene fortemente disincentivato in nome della diretta opposizione. La perdita di una prospettiva pedagogica nella comunicazione contemporanea fa decadere l’idea della risoluzione e del compromesso, e favorisce invece l’aspetto combattivo e potenzialmente violento del discorso politico e ideologico.
Si tratta di un territorio rischioso quello in cui ci si trova allora, dove la partecipazione a questioni ideologiche e politiche viene fortemente incentivata negli utenti dell’ambiente digitale, tanto da essere al centro di numerosi movimenti di giustizia sociale (e dei loro diretti oppositori), ma anche non predisposto all’incontro e allo scambio di pensieri. Insomma, una polveriera in attesa della miccia.
Al cui riguardo, mi permetto di ripubblicare qua uno degli ultimi post proposti dalla pagina Facebook di Fratelli D’ Italia, a un giorno dalla pubblicazione di questo articolo, e particolarmente esemplificativo delle tendenze sopra elencate.
In conclusione, un dato positivo: per quanto sia vero che la tendenza verso l’opposizione e il conflitto sia, con buona probabilità, favorita dall’uso dei social media, nell’elaborato di Kurin e Von Skirorski è documentata l’efficacia nell’evitare processi di polarizzazione e radicalizzazione da parte di alcuni metodi di informazione. Il fact-checking, ad esempio, appare in grado di favorire una depolarizzazione delle opinioni politiche. Dare la fiducia al lettore di poter seguire chi scrive, e offrirgli tutti i dati necessari per poter provare la verità di quanto affermato rivela ancora una volta il potere di un’ informazione fatta con serietà e rispetto verso chi la consuma.