Secondo una ricerca australiana, la plastica negli oceani è ormai ovunque. Solo sui fondali, ci sono 14 milioni di tonnellate di microplastica, ovvero una quantità 35 volte superiore a quella presente in superficie.
Tra fiaba e realtà
Quando si pensa agli abissi, la memoria di solito risponde con immagini ataviche, quasi fiabesche, di un mondo blu sconfinato e incontaminato. Sembra quindi difficile pensare che gli scarti del nostro quotidiano siano arrivati fin laggiù, eppure le nostre impronte ci sono. Impronte pericolose, che non arricchiscono l’ambiente, ma irreversibilmente lo deteriorano. E così, il suo avanzare inarrestabile lascia tracce di plastica negli oceani artici, nei ghiacciai antartici e nell’angolo più remoto di tutti: la Fossa delle Marianne.
Lo studio
Pubblicato su Frontiers in Marine Science, lo studio dell’Agenzia australiana (Csiro) afferma che sui fondali marini ci sono dagli 8,4 ai 14,4 milioni di tonnellate di plastica. Tale intervallo tiene conto dei possibili differenti pesi delle singole microplastiche e, sebbene sembri troppo grande, è in realtà paragonabile alla quantità che ogni anno finisce regolarmente nei mari (4-8 milioni di tonnellate). Condotta da marzo ad aprile 2017, l’analisi dei fondali si è svolta nella Great Australian Bight a una distanza dalla costa compresa tra i 288 e i 356 km. Invece, i sedimenti sono stati raccolti a una profondità variabile tra i 1655 e i 3016 metri, con l’ausilio di un robot sottomarino.
I risultati
Su 51 campioni, essiccati e congelati per la conservazione, ciascun grammo di sedimento conteneva circa 1,26 frammenti di plastica, con un diametro minore di 5 mm. Le microplastiche possono essere suddivise in due categorie: oggetti composti da queste particelle e oggetti prodotti dalla frammentazione di rifiuti più grandi. Dopo opportuna colorazione con sostanze fluorescenti, i sedimenti sono stati osservati al microscopio. Da tale analisi è poi emerso che, molto probabilmente, tutti i residui una volta erano articoli di consumo.
Una minaccia per gli animali
La baia scelta per il progetto è considerata un hotspot di biodiversità e, infatti, Jason Turner, un biologo marino specializzato nei fondali oceanici, vi ha individuato quasi 300 nuove specie. “Una fauna piuttosto diversificata” che caratterizza il sito australiano, ma purtroppo è da tempo minacciata dall’inquinamento. Infatti, le microplastiche sono piccole e vengono ingerite da molte specie marine, dal plancton ai pesci, contaminando poi tutta la catena alimentare, uomo compreso. Inoltre, i fondali sono pieni di animali filtratori, i quali, con tale metodo di nutrimento, sono più soggetti all’assunzione di plastica. Nel tempo, questi materiali si attaccano alle pareti dello stomaco, portandoli spesso a una morte lenta e dolorosa.
Plastica negli oceani, i dati del 2020
Secondo una ricerca del Noc, la quantità di plastica presente nell’Oceano Atlantico è almeno 10 volte superiore a quanto si pensasse. In particolare, nei primi 200 metri di profondità ci sarebbero dai 11,6 ai 21 milioni di tonnellate di microplastica. Tali dati derivano dall’analisi di campioni prelevati in 12 siti su una superficie di circa 10mila chilometri nell’Oceano Atlantico. Nessuno studio in precedenza aveva tenuto conto delle plastiche invisibili, motivo per cui i risultati ottenuti sono tanto allarmanti, quanto altamente informativi. Infatti, stando a queste osservazioni, l’Oceano Atlantico contiene circa 200 milioni di tonnellate di rifiuti plastici: molto di più delle precedenti stime.
Cosa c’è nell’Oceano Atlantico?
Effettuata durante la 26° spedizione Atlantic Meridional Transect, la raccolta dati ha interessato tre diverse tipologie di polimeri: polietilene, polipropilene e polistirene. Quest’ultimi sono i tre materiali più comuni e, infatti, rappresentano insieme la metà dei rifiuti di plastica globali. In media, secondo i dati raccolti, ci sono 7000 particelle per metro cubo d’acqua, miste fra le tre varianti considerate. Inoltre, sulla base di statistiche circa i tempi di produzione, dal 1950 a oggi nell’Oceano Atlantico sono finiti probabilmente dai 17 ai 47 milioni di tonnellate di plastica.
“Finora gli scienziati hanno avuto una comprensione del tutto inadeguata della quantità di plastica negli oceani”.
Le microplastiche entrano nel mare da fonti terrestri e marine, soprattutto tramite le vie fluviali e/o l’atmosfera. Sebbene sia indubbia la loro nocività per la salute di tutti gli esseri viventi, ad oggi non ci sono ancora prove scientifiche solide circa l’entità del pericolo. Infatti, monitorare completamente le fonti, i livelli di esposizione e il danno arrecato da ciascun rifiuto è impossibile. Inoltre, per motivi prettamente pratici, la maggior parte degli studi si è concentrata sulle particelle plastiche di dimensioni maggiori (>250 µm), mentre ad oggi l’abbondanza e la distribuzione delle microplastiche rimangono sostanzialmente sconosciute. La grande versatilità di questo materiale è poi un’ulteriore complicazione, perché costringe a fare una selezione inziale su quale polimero analizzare. Difatti, a una tale variabilità di materiali corrisponde un’altrettanta ampia gamma di proprietà fisiche e chimiche e, quindi, di velocità di degradazione nel tempo.
Mar Mediterraneo, “Mare plasticum”
L’inquinamento da plastica negli oceani è ormai un problema globale, ma alcune aree soffrono di più, preoccupando maggiormente gli esperti. Ad esempio, il Mar Mediterraneo è un vero e proprio deposito di materiale plastico, considerando che la quantità già accumulata supera il milione di tonnellate. Tuttavia, anche in questo caso, si fa riferimento a dati circa i materiali galleggianti, pertanto il totale potrebbe superare i tre milioni. A tal proposito, lo studio australiano assume un valore aggiunto, perché evidenzia ancora più l’importanza di monitorare i fondali, per avere stime attendibili. Ad esempio, un recente studio nel Mar Mediterraneo stima che ogni anno finiscono in media 229 mila tonnellate di plastica, di cui la maggior parte deriva da Egitto, Italia e Turchia.
Politica e coscienza comune
“La destinazione finale della plastica sono le acque più profonde, ma siamo ben lontani da un punto di equilibrio”, con queste parole Julia Reisser, biologa marina, sottolinea l’urgenza di intervenire con politiche mirate. Tuttavia, rimane fondamentale lo sforzo del singolo, per limitare il consumo e favorire piuttosto il riciclaggio. Purtroppo, il 2020 non ha aiutato una situazione già critica, incentivando invece la produzione di plastica monouso per motivi igienico-sanitari. Per questo, ogni paese dovrebbe interessarsi subito alla gestione di questi rifiuti speciali, molti dei quali già deturpano le comunità costiere e marine.
“La verità di domani si nutre dell’errore di ieri”
Oggi si parla molto di economia circolare, una strategia alla quale ambire, perché offre grandi vantaggi all’ambiente, alla società e all’economia stessa. Tuttavia, l’ostacolo più difficile di un progetto così ambizioso non è pratico, ma mentale. Infatti, implica cambiare punto di vista e ragionare anche sugli effetti, ma coniugando i verbi al futuro piuttosto che al presente. Per troppo tempo ci siamo interessati solo a cosa potevamo fare subito e non a cosa sarebbe successo dopo. Ma oggi sappiamo, abbiamo consapevolezza. Una consapevolezza verso la quale l’indifferenza sarebbe un’imperdonabile irresponsabilità.
“Dissimulare gli sbagli è il più grave peccato intellettuale”.
Carolina Salomoni