Plastic rocks: definita una nuova minaccia per l’ambiente marino

Non solo microplastiche libere ma vere e proprie formazioni solide modificano gli spazi naturali.

plastic rocks

Parallelamente alla grave minaccia delle microplastiche, le piccole particelle di materiale plastico sparse ovunque e capaci di contaminare ambienti, creature viventi e alimenti, si delinea ora con precisione l’entità delle plastic rocks: rocce composte da rifiuti plastici. Un nuovo studio proietta luce e insiste sull’urgenza del problema relativo a queste formazioni, già diffuse fra i vari Continenti e già segnalate in precedenza.

Plastic rocks o plastic stones sono le definizioni adottate all’interno della comunità scientifica per definire un fenomeno ambientale grave che pone ancora una volta l’accento sul problema dell’inquinamento causato da rifiuti plastici, sottolineando quanto gravi possano essere le conseguenze sulla trasformazione dell’ambiente naturale.

La situazione

L’ecosistema marino è notoriamente posto sotto grave minaccia da parte dei rifiuti plastici e per via di tutta una serie di pratiche irregolari che hanno causato nel corso degli anni una vera e propria alterazione della flora e della fauna nell’habitat marino. Tuttavia, un fattore ambientale determinante che è stato mediamente trascurato riguarderebbe i cicli di sedimentazione: meccanismi naturali che concorrono nella formazione delle rocce.

Dieci anni fa dalle Hawaii giungeva notizia di alcune rocce che sembrava avessero raccolto nella loro formazione residui di materiale plastico. L’argomento, incontrando poco clamore, ha dovuto attendere ancora tempo affinché degli studi più approfonditi gettassero luce sul fenomeno.
A ragion veduta si può definire queste formazioni delle “plastic rocks”, ovverosia, dei “plastiglomerati”: formazioni rocciose dove il materiale collante non è composto da minerali naturali, bensì da plastica.

Composizione

Variabili per dimensioni ed entità, le plastic rocks possono distinguersi in formazioni costituite da detriti rocciosi ed elementi plastici, oppure possono risultare come incrostazioni di materiale plastico sedimentatosi su formazioni naturali, occludendole.

Lo studio “Plastic–Rock Complexes as Hotspots for Microplastic Generation” condotto da L. Wang, M. S. Bank, J. Rinklebe e D. Hou per la School of Environment della Tsinghua University (Cina), ha rilevato la presenza di queste rocce in 11 Paesi, analizzando campioni provenienti dalle zone costiere e tracciandone le componenti.
In queste composizioni si è osservata la presenza dei minerali canonici rintracciabili nelle formazioni rocciose: calcite, albite, quarzi e argille. Tanto variegato è l’insieme degli elementi naturali presenti in queste rocce, quanto lo è la presenza di plastiche, molteplici per origine e tipologia ma tutte permanenti e inquinanti.

Occorre considerare inoltre l’influenza dei fenomeni ambientali naturali e come essi possono interagire con le plastic rocks. Il moto marino, i venti, lo stesso turnover della fauna possono concorrere sia nella formazione che nell’erosione di queste formazioni composite. Se erose, le plastic rocks possono chiaramente determinare la re-immissione di microplastiche nell’ambiente marino, riducendo la biodiversità a partire dalla diversità microbica, minacciando conseguentemente l’ambiente, l’economia blu e l’alimentazione di animali ed esseri umani.

Diffusione

I rifiuti composti da materiale plastico sono stati rintracciati dappertutto e rilevati perfino nelle aree più irraggiungibili del pianeta. Basti pensare che ad essere interessata da questo fenomeno vi è anche l’aria nota come Fossa delle Marianne, una depressione oceanica considerata fra aree marine più remote del Pianeta.

Tuttavia, avvicinandoci verso casa, occorre tenere conto del fatto che le nostre aree marine vivono una condizione di inquinamento non meno preoccupante delle altre regioni del pianeta.
Il Parlamento Europeo ha reso noto che il 49% de rifiuti marini sarebbe composto da resti di plastica usa e getta. Ispezionando spiagge e coste, in Italia sono state rilevate in media 413 unità di rifiuti ogni 100 metri di costa, contro le 20 unità fissate a livello comunitario come valore massimo per un buon stato ambientale dell’habitat costiero.

Trattandosi di un fenomeno ampiamente diffuso in tutte le aree del Pianeta e fortemente interconnesso sia coi cicli inquinanti sia coi cicli naturali dell’ambiente, la più vivida speranza è quella che a questo studio seguano ulteriori ricerche e una maggior presa di coscienza della situazione dagli organi governativi.

Stefania Barbera

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