Come distinguere chi ci crede davvero e chi invece sposa un messaggio solo per fare cassetto, col pinkwashing, il purple washing, il rainbow washing e altre forme di paraculismo?
Un cambiamento radicale, ma per davvero?
Una strategia come un’altra
It’s business, baby
Consumatori più consapevoli
Il fenomeno del rainbow, purple, green e pinkwashing si è poi allargato a minoranze e gruppi di sensibilizzazione su tematiche tra le più disparate. Non solo quindi diventa facile fare l’azienda di ampie vedute, ma anche conveniente, per poter fare leva anche sul prezzo dei propri prodotti. Il criterio guida espresso dalla Breast Cancer Association per smascherare la mercificazione delle lotte sociali è però molto chiaro: bisogna farsi alcune domande. Il ricavato andrà davvero a supporto di un programma di sensibilizzazione? E quanto? Quale organizzazione precisamente prenderà i soldi? C’è un limite massimo di fondi che l’azienda donerà? È già stato raggiunto? Questo acquisto mette me o qualcuno che amo a rischio? Che cosa sta facendo l’azienda per assicurarsi che i suoi prodotti o le sue politiche aziendali non contribuiscano al problema?
Ma è davvero tutto da condannare?
Oltre però al fare cassetto, c’è da riconoscere alla pubblicità un ruolo anche culturale nel lanciare un messaggio di tolleranza, ad esempio, per quanto riguarda le lotte contro le discriminazioni. Il marketing e l’intrattenimento sono infatti gli unici settori in cui effettivamente si può ribaltare il modello imperante di una società come la nostra. Se negli anni Novanta la pubblicità rappresentava essenzialmente uomini bianchi di mezza età e in camicia, con una moglie giovane e avvenente in cucina e bambini sorridenti con i boccoli biondi, oggi le cose stanno gradualmente cambiando. La realtà è questa: se non sei rappresentato, è come se non esistessi. Anche nella pubblicità, sia essa pinkwashing o meno.
Si può fare buon uso quindi anche di uno strumento come il marketing, con la consapevolezza che si rimane comunque all’interno di logiche capitalistiche. Magari un minimo di quel messaggio positivo verrà assorbito anche da chi guarda e non compra . Se poi si tradurrà invece in acquisto, quel messaggio sarà stato funzionale al capitalismo stesso. Ma, forse, con maggiore consapevolezza. C’est la vie.
Elisa Ghidini