La legge sulla leva militare obbligatoria in Italia è inattiva dal 1° gennaio 2005. Prima di allora, da più di un secolo tutti i maschi neo maggiorenni e in buono stato di salute erano tenuti ad arruolarsi per un anno nell’esercito. Tra i primi obiettori di coscienza del secondo dopoguerra ci fu Pietro Pinna, che nel 1948 rifiutò di imbracciare il fucile e venne arrestato. Con il suo gesto coraggioso di ribellione contro una legge che riteneva non giusta, Pinna diede inizio a un importante movimento della Nonviolenza aprendo il campo a leggi che hanno progressivamente destituito l’obbligatorietà della leva militare e istituito il servizio civile volontario.
Il servizio militare di leva, in Italia, è stato obbligatorio per 143 anni, dal 1861 al 2004. Il percorso verso l’annullamento della legge che, fin dalla nascita del Regno d’Italia, imponeva ai giovani ragazzi appena maggiorenni di arruolarsi per almeno un anno nell’esercito, è stato lungo e tortuoso, fatto di conquiste parziali, movimenti di opinione e rifiuti coraggiosi: prima pochissimi e isolati, poi, negli anni, sempre più numerosi, fino a quando l’obiezione di coscienza non è diventata una questione pubblica; un problema politico da risolvere.
Pietro Pinna: il primo a dire “no” alla leva militare dopo la guerra
Pietro Pinna è considerato il primo obiettore di coscienza italiano per motivi politici. Nato in Liguria nel 1927, venne chiamato alle armi nel 1948, ma gli orrori della Seconda guerra mondiale ancora scolpiti nella sua mente lo spinsero a rifiutare il servizio.
Nessuno, in quegli anni, osava opporsi al servizio di leva; molti nemmeno consideravano il rifiuto come un’opzione possibile. Per i disertori erano infatti previsti due anni di carcere, e la condanna poteva essere reiterata all’infinito finché persisteva il rifiuto. Quelli che sulla carta erano due anni in prigione potevano quindi trasformarsi in un ergastolo.
L’obiezione di coscienza di Pietro Pinna fu coraggiosa non solo perché rischiava di rimanere in carcere per un tempo lunghissimo, ma anche perché era solo, completamente solo nella scelta fatta. Ormai anziano, a chi gli chiedeva spiegazioni sulla sua decisione, Pinna rispondeva che secondo lui, quello, era un “servizio di uccisione militare”, e che la sua morale gli impediva categoricamente di prenderne parte attivamente. Nel 1981, alla Marcia della Pace di Assisi, organizzata dal movimento della Nonviolenza, Pinna dichiarava alle telecamere:
Bisogna pensare al piano della non collaborazione; del boicottaggio; della disobbedienza civile. Bisogna che la gente occupi le caserme: bisogna che si impedisca ai mezzi che trasportano gli strumenti di morte di potersi muovere. Null’altro che attraverso la non collaborazione, il boicottaggio, il sabotaggio. Il sabotaggio è lecito!
Pietro Pinna, in ragione del suo rifiuto, venne processato per disobbedienza, condannato ad un totale di diciotto mesi di carcere, e infine liberato per problemi cardiaci. Il suo impegno non si è fermato con la fine della pena: la sua partecipazione al movimento della Nonviolenza come attivista civile proseguì per decenni, fino all’abrogazione effettiva del servizio militare obbligatorio nel 2004.
Dai primi obiettori al movimento della Nonviolenza
L’esempio di Pietro Pinna, primo obiettore ufficialmente riconosciuto come tale e quindi condannato, spinse altri giovani italiani a chiamarsi fuori da quello che, per questioni morali, politiche, o religiose, era un obbligo per loro inaffrontabile. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, il numero di obiettori crebbe a tal punto che la questione, da minoritaria, divenne di pubblico dominio, e incontrò il supporto di molti intellettuali, per lo più cattolici.
Risale al 1965 la Lettera ai giudici di Don Lorenzo Milani, nella quale l’intellettuale non solo si schierava a favore degli obiettori, ma difendeva su un piano universale la libertà di scelta dell’uomo e del cristiano, condannando l’ubbidienza cieca a leggi ingiuste secondo coscienza.
Se l’Italia ripudia la guerra, perché dunque si obbligano i giovani a prepararsi alla guerra?
La lucidità e la concretezza delle parole di Don Milani elevarono la sua Lettera a manifesto dell’obiezione di coscienza. Alla voce di Milani seguirono quelle autorevoli di Padre Balducci, Aldo Capitini, Giorgio La Pira.
Padre Balducci e Don Milani vennero processati e condannati per apologia di reato. La Pira, sindaco di Firenze nei primi anni ’60, trasmise pubblicamente in piazza il film francese Non uccidere, del 1961, ispirato proprio alla storia di Pietro Pinna e bloccato dalla censura per “istigazione a delinquere” (ovvero a disertare).
Aldo Capitini fondò la rivista Azione Nonviolenta, e collaborò lungamente con Pinna per promuovere gli ideali dietro al rifiuto del servizio militare in tutta Italia attraverso un’azione fondamentale di contro-informazione, e organizzando marce della Pace, manifestazioni, appelli ai politici.
Leva non obbligatoria: un’odissea durata 30 anni
Il movimento della Nonviolenza, assieme al numero sempre crescente di obiettori, contribuì ad una prima legge di riconoscimento dell’obiezione di coscienza nel 1972. La legge stabiliva che l’obiezione di coscienza poteva essere acconsentita per motivi di natura morale, religiosa, filosofica. Bisognava presentare domanda ad una Commissione di ex militari che avrebbe valutato caso per caso. Il problema, chiaramente, era la natura filo-militare della Commissione, che aveva tutto l’interesse a bocciare le richieste di obiezione. Per tutti gli anni ’70, in effetti, le richieste accettate furono poche: meno della metà di quelle totali arrivate al cospetto della Commissione.
Gli obiettori dovevano sostenere un servizio civile obbligatorio per un anno e otto mesi: solo nel 1985 il servizio civile raggiungerà pari dignità giuridica rispetto a quello militare, e nel 1989 verrà accorciato a un anno.
Gli anni Ottanta sancirono un punto di non ritorno nella storia dell’obiezione di coscienza: le richieste divennero talmente numerose che la Commissione ne approvava oramai tra le 3000 e le 9000 all’anno.
Nel 1990, il numero di richieste di servizio civile arrivò a 16.000; 30.000 nel 1994 e 70.000 nel 1998. Nello stesso anno, venne stabilito giuridicamente che l’obiezione di coscienza era un diritto per il cittadino.
Il numero di obiettori negli anni Novanta era ormai talmente alto che serviva una riforma radicale: nel 2000 nacque infatti il servizio militare su base volontaria, e nel 2001 anche il servizio civile raggiunse lo status di “volontario e nazionale”, permettendo così la partecipazione anche alle donne.
Nell’agosto 2004, venne ufficialmente annullata l’obbligatorietà del servizio di leva.
Ad oggi, a fronte di qualche migliaio di richieste per entrare nella leva militare, più di 100.000 ragazzi e ragazze tra i 18 e i 28 anni fanno domanda ogni anno per svolgere il Servizio Civile Universale, che permette loro di mettersi a servizio della società, servendo la propria Nazione in modo pacifico e nonviolento.
Pietro Pinna ci insegna che la nonviolenza è una scelta
Facile, oggi, guardare con ammirazione alla scelta di Pinna, e di tutti gli altri obiettori che finirono in prigione pur di non dover imbracciare un fucile. Diverso sarebbe stato all’epoca, quando loro, soli, si ritrovarono contro un’intero Paese, che vedeva nella leva militare l’unica strada percorribile.
La storia di Pietro Pinna e dell’obiezione di coscienza, da reato a diritto, ci insegna che la nonviolenza è una scelta. Possiamo scegliere, a costo della nostra stessa libertà, di non fare del male, e di non partecipare a leggi che la nostra coscienza percepisce come ingiuste.
Pochi anni prima di morire, Pietro Pinna ci ha lasciato una lunga testimonianza sulla sua esperienza giovanile, dentro e fuori dal carcere, e adulta, impiegato nella militanza nonviolenta. Nell’intervista, Pinna cita le parole di Gandhi:
La non collaborazione al male è un dovere maggiore rispetto alla collaborazione al bene.
Queste parole risuonano come un importante monito nel mondo violento e complesso di oggi: occorre pertanto cercare di metterle in pratica, affinché la nostra etica e i nostri ideali ci facciano sempre da guida.
Michela Di Pasquale