Il romano Pietro Metastasio (1698-1782) è senza dubbio il più celebre poeta della letteratura arcadica. Famoso autore di numerosi melodrammi (opere teatrali in musica), è lui a dare compimento alla riforma del melodramma italiano.
Formazione e carriera artistica
È un talento naturale nell’improvvisare versi, al punto che Gian Vincenzo Gravina – uno dei più importanti fondatori dell’Accademia dell’Arcadia – nota le sue precoci doti eccezionali e gli impartisce un’educazione classica. È Gravina a cambiare il cognome di Pietro, che in origine è Trapassi (Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi), nel grecizzante “Metastasio”. Non solo: lo manda in Calabria, presso suo cugino Gregorio Caloprese, per fargli studiare la filosofia cartesiana. Queste esperienze lo aiutano a formarsi sia come uomo che come artista. Nel 1718 Gravina muore e Metastasio si trasferisce a vivere a Napoli. Qui è presente un ambiente musicale e teatrale vivace, che lo esorta a intraprendere la scrittura di testi di melodrammi.
Didone abbandonata
Didone abbandonata è il suo primo dramma per musica, datato 1724. Esso viene rappresentato per la prima volta nella città di Napoli, con la famosa Marianna Bulgarelli, chiamata “La Romanina”, ad interpretare la parte di Didone, regina di Cartagine.
Nella rappresentazione che ha luogo a Napoli nel 1724 (Teatro San Bartolomeo, messa in musica del compositore Domenico Sarro), la coreografia della Didone abbandonata è particolarmente esotica e sfarzosa, in conformità con un gusto partenopeo: Iarba, uno dei personaggi, esordisce sul palcoscenico in compagnia di leoni e altre belve. Non solo: l’ultimo atto è caratterizzato da effetti scenici, tra i quali l’incendio della reggia di Cartagine.
Rispetto ai successivi melodrammi, il tono della Didone abbandonata è più orientato alla tragedia, come testimonia, ad esempio, l’assenza di personaggi comici. Il suo finale, che vede la morte della protagonista, costituisce uno scioglimento della storia decisamente anomalo nella produzione di Metastasio, dove la vicenda si conclude solitamente con un lieto fine.
La Didone abbandonata gode di grande fortuna nel corso del Settecento e molti musicisti la scelgono. Essa costituisce uno dei libretti di Metastasio maggiormente utilizzati.
Il trasferimento a Vienna
L’opera ha un grandissimo successo e questo spinge il suo autore a portare avanti il lavoro sul melodramma. Complice la fama raggiunta, la corte di Vienna lo chiama, nel 1730, come poeta cesareo. A Vienna, nel primo periodo, scrive i suoi melodrammi più noti e riusciti. Tra questi: Demofoonte, Demetrio, Olimpiade. Pietro Metastasio trascorre il resto della sua vita proprio a Vienna. Qui compone moltissimi melodrammi con la musica di quasi tutti i compositori del proprio tempo, acquistando una fama europea.
La riforma del melodramma
Il melodramma è un genere che raggiunge nel Settecento una grande diffusione. In linea con il razionalismo e il classicismo arcadico, nasce il proposito di riformare tale genere come venne ereditato dal secolo barocco. Due esigenze stanno alla base di questa riforma: restituire autonomia e dignità letteraria al testo poetico, che durante il Seicento è subordinato alla musica, ma anche conferire a questi testi una eroica dignità che permetta loro di competere con i grandi e illustri modelli tragici, quelli moderni francesi e quelli antichi classici.
Durante la sua attività, Pietro Metastasio pone in atto una vera e propria riforma del genere del melodramma, riforma volta a razionalizzare sregolatezze ed eccessi di eredità barocca. Egli rovescia la consuetudine precedente e colloca il testo poetico in una posizione prevalente rispetto alla parte in musica e anche alla messa in scena. La narrazione poetica è caratterizzata da un equilibrio perfetto tra elementi razionali ed emotivi, come pure tra espressione del sentimento e sviluppo dell’azione. Tale equilibrio nei contenuti viene garantito da un equivalente equilibrio tra la musica e la parola, come anche da un linguaggio semplice, chiaro e facilmente cantabile.
Questa caratteristica è evidente nelle famose “arie” dell’autore melodrammatico. Esse, poste in forma di brevi strofe, svolgono il compito di porre a conclusione le scene dando vita a una specie di “pausa di riflessione” sui paradossi sentimentali e conducendo ad una risoluzione dei conflitti passionali che sono stati rappresentati sulla scena. Queste arie sono importanti per la varietà d’azione, proprio come lo furono i “cori” nel teatro classico greco.
Annapaola Ursini