Pittore fiorentino il cui spettro stilistico-emotivo varia dal lirismo a una certa ruvidezza, si è imposto sulla scena artistica europea con opere che interpretano in modo personale lo spirito rinascimentale. “Di Cosimo” nel suo appellativo è un tributo al suo maestro di bottega.
Le contaminazioni di Piero vanno dagli accoglimenti compositivi di Leonardo Da Vinci, come si può notare in “Madonna col Bambino e i santi Sebastiano e Lazzaro” (1480-1485) che riecheggia nella postura, nell’espressione del viso, e nello sfondo tipico la poetica della “Madonna del garofano” (1478-1481). Ben più matura sarà l’opera “Madonna col Bambino in trono con i santi Pietro, Giovanni Battista, Nicola e Domenico” (1485), denominata Pala del Pugliese dal nome del comminttente, dove l’artista riprende stilemi fiamminghi nella cura del particolare, e è ben visibile l’impronta di Filippino Lippi. Nello specifico il trittico di riferimento è “Trittico Portinari” di Hugo van der Goes (1476-1479), dal quale è ripresa una generale fisionomia stilistica e un certo contegno emotivo, oltre che la dovizia nei particolari scenici.
Un aspetto interessante della poetica di Piero è la sua interpretazione di episodi mitologici e scritture profane, che lo portano a eseguire dei quadri che spesso danno adito a più spunti narrativi. Egli riecheggia l’iconografia classica con il suo “Ritrovamento di Vulcano”, che oltre al mito omonimo, nella versione di Virgilio delle Bucoliche, riconduce alla memoria un altro mito, quello di “Ila e le ninfe”, racchiuso nell’omonima testo. Il risultato è una rappresentazione ibrida, contaminata dagli elementi narrativi di entrambe le versioni che connota Piero di un’individualità artistica e un’indipendenza stilistica.
Opera meravigliosa, posta nella Galleria dello Spedale degli Innocenti a Firenze, è “Madonna col Bambino in trono con angeli e santi” (1493). Qui il simbolismo tipico dell’iconografia rinascimentale si snoda con la figura della santa Caterina d’Alessandria, con la corona, un pezzo di ruota e la palma, nel suo santo connubio con Cristo; diametralmente opposta si staglia un’altra figura, avvolta in abito nero monacale, che stringe delle rose di tre colorazioni in mano. Scartate le opzioni di una raffigurazione di Rosa da Viterbo, oppure Dorotea, l’ipotesi più veritiera risulta essere Caterina da Siena, con in mano il simbolo dei tre misteri, e effigie essa stessa della pace tra il papato e il “clero scomunicato durante la scissione avignonese”. Il suo abito domenicano rimanda alla figura di Savonarola che in quel periodo diffondeva il suo pensiero rivoluzionario. Altra opera incentrata su simbolismo religioso è la “Visitazione con i santi Nicola e Antonio abate” (1489). Maria e Elisabetta qui raffigurate in una stretta di mano quasi monito di un patto: l’una rappresentante la Chiesa, con in grembo il figlio di Dio; e l’altra in abito agostiniano, a impersonare l’ordine omonimo. Il messaggio è di un auspicabile accordo tra la Chiesa e l’ordine; a riprova di ciò viene anche ritratto a terra un garofano, metafora dell’unione. Un connubio simbolico tra la Chiesa terrena e Cristo.
La produzione dell’artista contempla, infine, anche quadri tipici dell’iconografia rinascimentale, dalla ritrattistica (“Ritratto di San Giuliano Giamberti”1488-1505), alle Sacre Conversazioni, a un repertorio di stampo classicista rielaborato con una certa originalità e ironia (“La scoperta del miele” e “Le disavventure di Sileno” 1500).
Costanza Marana