Pier Paolo Pasolini attraverso le parole di Oriana Fallaci; un ritratto da riscoprire, contro la dilagante omologazione del personaggio dato in pasto ad ogni tipologia di narrazione.
La notte – scappa agli inviti – se ne va solo nelle strade più cupe di Harlem, di Greenwich Village, di Brooklyn, oppure al porto, nei bar dove non entra nemmeno la polizia, cercando l’America sporca infelice violenta che si addice ai suoi problemi, i suoi gusti, e all’albergo in Manhattan torna che è l’alba: con le palpebre gonfie, il corpo indolenzito dalla sorpresa d’essere vivo.
Così Oriana Fallaci descrive Pier Paolo Pasolini su L’Europeo nel 1966. Pasolini era andato a New York e l’aveva trovata “una città magica, travolgente, bellissima. Una di quelle città fortunate che hanno la grazia.” Il suo rammarico era però non averla vissuta nell’età della gioventù. E subito alla grazia si contrappone la morte; Pasolini assiste, nella totale indifferenza dei passanti, all’agonia di un uomo sul ciglio della strada. Nessuno interviene, e l’uomo sta morendo. E anche nell’indifferenza degli altri Pasolini cerca qualcos’altro: “Non è detto che il loro silenzio sia mancanza di pietà, forse è una forma superiore di pietà. La pietà di non avvicinarsi, non curiosare…”. Il rispetto dietro l’inazione Pasolini lo invidia agli americani, lui, uomo sempre in azione.
Così Oriana Fallaci descrive lo stare al mondo per contrasti dell’amico Pier Paolo
Odiavi troppo il peccato, il sesso, che per te era peccato. Amavi troppo la purezza, la castità che per te era salvezza. E meno purezza trovavi, più ti vendicavi cercando la sporcizia, la sofferenza, la volgarità: come una punizione. Come certi frati che si flagellano, la cercavi proprio con il sesso che per te era peccato.
L’ultima lettera senza risposta
Pier Paolo Pasolini viene trovato morto ad Ostia, il 2 novembre 1975. Quello stesso anno le ultime parole di Oriana Fallaci rivolte all’amico vengono pubblicate su L’Europeo. Il pretesto è la risposta a un’altra lettera che Pasolini le aveva scritto dopo l’uscita di Lettera a un bambino mai nato. Fallaci l’aveva portata con sé ovunque, fino a perderla, o a non volerla più ritrovare; così Pasolini commentava il libro:
“Ho ricevuto il tuo ultimo libro. Ti odio per averlo scritto. Non sono andato oltre la seconda pagina. Non voglio leggerlo, mai. Non voglio sapere cosa v’è dentro la pancia di una donna. Mi disgusta la maternità.”
Fallaci, pur ferita, non risponde d’impulso all’amico, perché riconosce quel sentimento, non di odio, ma di disperazione che Pasolini si portava addosso
Non era una lettera diretta a me, del resto, ma a te stesso, alla morte che rincorrevi da sempre per mettere fine alla rabbia d’essere venuto al mondo grazie a una pancia gonfia, due gambe divaricate, un cordone ombelicale che si snoda nel sangue. E come consolarti, placarti, di una simile ineluttabilità?
Dolore e rabbia nelle parole della Fallaci, quella cieca e sorda che scoppia quando qualcosa è andato esattamente come ci si aspettava, e come si cercava puntualmente di evitare. Quella dello spettatore esterno, inerme eppure coinvolto nelle sorti di una persona cara che si dirige consapevolmente verso qualcosa di già stabilito.
Ma Pasolini nelle parole della Fallaci è anche l’amico generoso, che non sapeva mai dire di no, che aveva scritto le prefazioni del libro di Alekos Panagulis, compagno della Fallaci, che ne aveva revisionato la traduzione per assicurarsi che fosse giusta, con il quale era un piacere andare a cena, e un dispiacere lasciare, tornando a casa.
Pasolini uomo, al di là del personaggio
A cento anni dalla sua nascita, Pier Paolo Pasolini è oggi spesso protagonista di dibattiti, l’intellettuale più citato sui social network, il cui volto è soggetto ricorrente di eco-borse e murales, protagonista di quella omologazione propria della società di massa, da lui tanto osteggiata. Le parole di Oriana Fallaci ci permettono di fare un passo indietro, di ritornare agli anni ’70, di spogliare il personaggio-Pasolini di alcune delle sovrainterpretazioni che col tempo gli si sono appiccicate addosso.
La rabbia alla fine della lettera però si mitiga, lasciando spazio soltanto al dolore. Fallaci allora ricorda il disturbo che l’amico provava quando “la donna normale e dura” come lei stessa si definisce, sulle spiagge di Rio de Janeiro, gli raccontava di prigionieri seviziati, mentre lui, “uomo anormale”, avrebbe voluto solo immergersi in tramonti di rosa e d’avorio.
Alla fine resta solo l’enorme spaesamento, e la consapevolezza di non poter più avere quel confronto rimandato e ormai irrecuperabile
Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?
Pier Paolo Pasolini, tra candore e violenza
“Ti insegneranno a non splendere. E tu splendi invece!” , la frase più conosciuta e abusata, di cui quasi tutti conoscono l’autore, e nessuno la provenienza.
Appartiene alle Lettere luterane, dove Pasolini critica il risultato del cambiamento sociale in atto negli anni ’70: l’omologazione equivaleva alla perdita delle disuguaglianze, delle differenze, e dei relativi valori. Secondo l’autore, le colpe dei padri e dei professori della generazione precedente ricadono sui figli, a cui viene insegnato come crescere da piccoli borghesi, categoria sociale che andava via via formandosi dall’omologazione generale. Quei figli imparano solo la rinuncia, l’infelicità e la bruttezza.
Da alcuni anni i giovani, i ragazzi fanno di tutto per apparire brutti. Si conciano in modo orribile. Fin che non sono del tutto mascherati o deturpati, non sono contenti. Si vergognano dei loro eventuali ricci, del roseo o bruno splendore delle loro gote, si vergognano della luce dei loro occhi, dovuta appunto al candore della giovinezza, si vergognano della bellezza del loro corpo. I «destinati a essere morti» non hanno certo gioventù splendenti: ed ecco che essi ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece, Gennariello.
Ancora il candore, prima dello splendore, ritorna nelle parole dell’unico uomo in grado di grazia e sporcizia, violenza e bellezza, di fortissimi contrasti e nessuna omologazione. E che grida allo scandalo che è la vita, ancora, anche dalle eco-borse e dai murales; di più però, nelle parole.
Carmen Alfano