“Là dove c’era l’erba ora c’è una città…e quella casa in mezzo al verde ormai, dove sarà? ”
Così cantava Celentano nella sua famosa canzone che oggi sembra ancora attualissima. Oggi, il fenomeno della migrazione dai piccoli comuni alle città ha raggiunto dimensioni che fanno riflettere. Secondo un recente studio realizzato da Legambiente e Anci sui comuni al di sotto di 5.000 abitanti, negli ultimi 25 anni si è registrato un calo demografico conseguente ad un abbandono dei piccoli comuni sempre più massiccio.
1 persona su 7 se n’è andata e la popolazione anziana è aumentata dell’83% rispetto a quella giovane. Inoltre la stessa ricettività turistica ne ha risentito, in quanto essa è cresciuta solamente del 21%, e i piccoli comuni risultano 4 volte meno ricettivi turisticamente. Il destino di 2.500 comuni italiani è quello di morire abbandonati a loro stessi.
Il danno è sicuramente evidente, a questo si sono aggiunte, in questi anni, politiche che hanno favorito la sparizione di piccoli comuni, la più recente è quella legata alla Spending Review che a partire dal 1 Gennaio 2016 ha favorito l’accorpamento di circa 40 comuni sotto i 5.000 abitanti.
In un paese come l’Italia, la sparizione di piccoli borghi rappresenta la perdita di un’ identità storica. L’Italia, storicamente nasce dai Comuni e da tante piccole realtà territoriali che costituiscono il suo patrimonio storico-culturale. La sparizione dei piccoli comuni comporta una grande lacuna nella nostra identità che non può non essere fermata.
Il lento abbandono dei piccoli comuni risale agli anni ’60, quando con l’avvento del Boom economico, molte persone lasciavano le campagne per trovare migliori condizioni di vita nelle città. Con la nascita di un’economia basata sui servizi, il lento ma inesauribile abbandono di queste piccole realtà si è sempre più accelerato. Questi borghi, col passare degli anni, hanno conservato la loro identità non adeguandosi ai cambiamenti della società, racchiusi in una sorta di campana di vetro. Un processo che ha visto la città, o metropoli come la vediamo oggi, il centro di tutti i cambiamenti sociali, culturali ed economici.
Ed ecco che le piccole realtà sono rimaste isolate e di conseguenza anche i propri abitanti, i quali si sono visti costretti a spostarsi anche per avere un servizio tra i più semplici, come ad esempio andare alla posta. Da qui, la mancanza di opportunità lavorative e la totale assenza di interesse da parte delle istituzioni nel rivitalizzare questi piccoli comuni, hanno favorito un inesorabile abbandono di questi posti da parte della popolazione locale.
Ma questi luoghi, in virtù della loro importanza culturale per il nostro paese, dovevano anzi devono essere rivitalizzati, in quanto possono essere sede di grandi opportunità. Da alcuni anni in alcuni paesi del Sud Italia qualcosa si sta muovendo. Molte piccole realtà si sono rimboccate le maniche per riprendersi le loro radici.
E’ il caso esemplare del comune di Riace, in Calabria, che sul finire degli anni ’90 ha attuato una politica di ripopolamento del comune, favorendo l’insediamento di 6.000 migranti che hanno favorito la rinascita economica di questo paesino a rischio sparizione. Ma anche molti paesi dell’Irpinia si sono dati da fare, puntando su una rivitalizzazione di tipo turistico e culturale, volta a porre l’attenzione sulle specificità enogastronomiche locali.
E’ il caso che la politica investa in queste realtà e non che le lasci al loro destino. La frammentarietà dei piccoli comuni italiani caratterizza il nostro paese, costituendone il suo dna. Oggi, grazie alla tecnologia e ai nuovi mezzi di comunicazione molte sono le cose che potrebbero essere attuate ma che non vengono fatte.
Favorire l’insediamento dei migranti in posti abbandonati, creare alberghi diffusi, generare più servizi, creare percorsi turistici e chi più ne ha più ne metta. I grandi attrattori turistici non sono l’Italia, o meglio l’Italia non è solo questo. La vera Italia, il famoso brand “made in Italy” non è rappresentato solamente dal Colosseo, dalla pizza e dal mandolino. L’Italia è altro, è mille e una sfaccettature, nei suoi territori, nei suoi borghi, nelle sue tradizioni, nelle sue culture. Quando si capirà tutto questo sarà tardi, perché ci saremo omologati al resto del mondo. Allora se veramente “vogliamo bene all’ Italia”, così come Legambiente ha intitolato la sua iniziativa volta a favorire il recupero dei piccoli borghi, investiamo su di essa, non lasciamola morire perdendo i suoi pezzi uno ad uno a favore di logiche di mercato che non fanno altro che impoverirla sia economicamente che culturalmente. Io voglio bene all’ Italia e so chi sono e da dove vengo, ma siamo sicuri che i nostri figli e i figli dei loro figli sapranno da dove vengono e dove vorranno andare? La bussola non si può rompere, non si deve rompere.