Il piano vaccinale europeo varato lo scorso giugno è stato travolto dai fatti
Nel giugno dell’anno scorso la Commissione e gli Stati membri dell’UE varavano il piano vaccinale europeo. La strategia, messa nero su bianco, prevedeva un approccio centralizzato governato dalla Commissione per conto degli Stati.
La Commissione aveva – e ancora in verità ha – il mandato di concludere accordi con le case farmaceutiche per conto degli Stati membri. Con i 2,7 miliardi stanziati, la Commissione avrebbe versato un acconto alle industrie produttrici per garantirsi un certo numero di dosi, da ripartire poi tra gli Stati che avrebbero saldato il conto.
Lo stato dell’arte
Questa procedura è stata finora seguita, come è noto, per i vaccini Pfizer-Biontech, Astrazeneca e Moderna. Al momento la Commissione ha concluso tre contratti anche con Sanofi-GSK, Johnson & Johnson e Curevac, i cui vaccini saranno commercializzati non appena approvati. Di questi, pare che il più prossimo all’entrata in commercio sia l’americano Johnson & Johnson.
La Commissione ha inoltre avviato colloqui esplorativi per il vaccino Novavax, americano, e per quello austro-francese, Valneva; entrambi però ancora molto lontani. Sarebbe poi da aggiungere alla lista il vaccino russo Sputnik, che secondo le dichiarazioni di alcuni funzionari potrebbe essere presto inserito nel piano vaccinale europeo.
Il vaccino russo Sputnik
Le autorità di Bruxelles si sono rese conto che un passo in questa direzione è necessario, dato che molti Paesi hanno già preso iniziativa autonoma. Ad oggi infatti Italia, Germania, Francia e Spagna hanno concluso accordi bilaterali con il fondo per gli investimenti diretti russo. La produzione dello Sputnik dovrebbe giungere in questi Paesi entro l’inizio dell’estate.
In verità lo Sputnik è già in uso da qualche settimana in Ungheria e Slovacchia con buoni risultati, mentre già Austria e Repubblica Ceca hanno concluso accordi per acquistarne le dosi. Al di fuori dell’UE, ma sempre in Europa, il vaccino è usato largamente in Serbia.
Gli accordi con Pechino e Israele
Tra gli Stati membri dell’Unione c’è poi chi guarda a Pechino: Polonia e Ungheria. Budapest è in verità già avanti con l’utilizzo del vaccino Sinopharm, che il premier Orban ha chiamato “il suo preferito”. Sembra quindi che sia l’Europa orientale sia ormai quella occidentale si siano gradualmente sfilate dal piano vaccinale europeo pur senza dismetterlo.
A questi accordi (e annunci di accordi) con Pechino e Mosca, vanno aggiunti quelli stipulati con Israele per investimenti nella produzione. Qui hanno iniziato a febbraio Austria e Danimarca, seguite poi da Ungheria e Cechia. Essendo state – tutte queste iniziative autonome – condotte con aziende che non rientravano nel piano vaccinale europeo, gli Stati non hanno violato l’accordo iniziale.
Chi invece lo avrebbe fatto, infrangendone l’articolo 7, è la Germania. Un funzionario del Ministero della Salute dichiarò a fine dicembre che Berlino aveva condotto una trattativa separata per 30 milioni di dosi Pfizer-Biontech. La Commissione aveva stipulato un contratto con l’azienda l’undici novembre.
Necessità di altri vaccini
Vienna e Budapest hanno dichiarato che il ricorso ad altri vaccini si è reso necessario a causa della lentezza della strategia comune. In risposta, la Commissione ha nicchiato affermando di “poter imparare da tutti”.
Gli ultimi sviluppi, con il recente blocco del vaccino Astrazeneca da parte di molti Stati, per quanto provvisorio, hanno aggravato i ritardi già evidenti nell’Unione. Numerosi critici hanno paragonato i risultati europei con quelli americani, inglesi e israeliani. Una celere introduzione di altri vaccini, anche non occidentali, pare si renda sempre più necessaria.
Lorenzo Palaia