Il Piano Mattei, la scommessa del Governo Meloni

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Il Governo Meloni negli ultimi mesi accelera sugli incontri bilaterali con Paesi Mediterranei e dell’estero meno vicino. Si delinea una politica volta a promuovere una maggiore presenza italiana sullo scacchiere internazionale. Motore e motivo di tale politica, il cosiddetto Piano Mattei.




Un mondo nuovo

La guerra in Ucraina ha aperto il fianco a una tardiva consapevolezza in Europa. La consapevolezza di quanto la dipendenza energetica da Mosca fosse limitante per le politiche dell’Unione. Gli eventi del 2022 hanno, infatti, forzosamente smantellato il sistema di equilibri che per trent’anni aveva retto i rapporti tra il continente e la Federazione. Il caos che ne è scaturito ha portato diversi Paesi a guardarsi attorno, cercando l’occasione giusta per migliorare il proprio status. La percezione che nuovi equilibri siano in fase di formazione porta oggi diversi soggetti a premere sull’acceleratore. Il timore è quello di trovarsi, quando le scosse di assestamento del cambiamento saranno finite, in una condizione più incerta che nel 2021. È in quest’ottica che in Italia viene promosso il Piano Mattei. Per cercare un posto al sole in Europa e, nella più rosea delle ipotesi del Governo, uno sul trono nel Mediterraneo.

La linea del Governo

Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. È molto difficile che il Governo più a destra della storia repubblicana ammetta l’adozione del motto maoista. Ma, osservando gli ultimi mesi della politica estera del nostro Paese, sembra che questa sia l’idea che muove l’azione di Palazzo Chigi. La confusione oggi è grande sotto il cielo, dentro e fuori i confini nazionali. La pandemia, la guerra, la crisi d’identità tedesca, le ricorrenti proteste francesi, il clima da guerra civile negli Stati Uniti, la minaccia nucleare (!), Taiwan… E poi, il risveglio degli anarchici, le gravi gaffe di vari esponenti del governo, la siccità, un’opposizione parlamentare che sembra essere sulla via della ricompattazione… I salotti televisivi e le pagine dei giornali sono un continuo rincorrersi di voci e questioni aperte.

In questo carosello di informazioni che nascono, si contraddicono, vengono smentite per poi essere rispolverate, un soggetto sembra sospettosamente silenzioso. Una voce leggera che risponde solo dopo essere tirata per la giacca dalla stampa, la Presidente del Consiglio Meloni. Tale comportamento può essere – ed è – motivato differentemente a seconda di chi lo descrive. Timore del confronto pubblico, per gli avversari; concentrazione sulla politica dell’Esecutivo, per la maggioranza. Una politica, questo il non detto di Palazzo Chigi, che intende approfittare senza distrazioni della grande confusione sotto il cielo per promuovere la propria azione. Leggasi: per promuovere il Piano Mattei.

Il Piano Mattei

Era il 25 ottobre 2022 quando l’allora neoeletta presidente del consiglio Giorgia Meloni si rivolgeva alla Camera per chiedere la fiducia. Tra le sue parole, una frase spesso ripetuta in campagna elettorale: Piano Mattei.

[…] allora mancherà un’ultima cosa da fare, forse la più importante: rimuovere le cause che portano i migranti, soprattutto i più giovani, ad abbandonare la propria terra, le proprie radici culturali, la propria famiglia per cercare una vita migliore…credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “Piano Mattei”.

Il piano Mattei era stato più volte nominato durante la campagna elettorale come un impegno che l’eventuale Governo Meloni avrebbe preso nel caso di vittoria. Non molto, tuttavia, era stato specificato riguardo a cosa tale Piano prevedesse. Solo fumosi slogan riguardo un generico cambio di passo riguardo alle forniture energetiche ed ai rapporti con i Paesi produttori. Con l’inizio del 2023, tuttavia, inizia una frenetica attività di viaggi all’estero per la Premier Meloni, che la portano a definire, e a ridefinire, i rapporti con diversi Paesi fornitori di gas e idro carburi. Durante questi viaggi non è mai mancata la costante presenza di rappresentanti dell’industria energetica nazionale, in particolare di Eni.

Baricentro del Piano, nelle parole della Premier, è l’affrancamento dalla dipendenza energetica dalla Russia, ormai totalmente schierata su un campo di interessi opposto a quello italiano. Non solo, ad una prima fase di switch delle forniture energetiche verso il nostro Paese, ne dovrà seguire una seconda, tesa a fare dell’Italia il principale hub di gas dell’intero continente. Il tutto, viene promesso, mettendo al centro della politica del Governo la filosofia di Enrico Mattei. Non derubare terre lontane delle proprie risorse, ma costruire con loro infrastrutture di comune interesse per permetterne lo sviluppo e aumentarne la vicinanza con Roma. Basare i rapporti commerciali con i Paesi produttori su un modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere.

Gli inizi del Piano Mattei

L’attività del governo in questo senso è iniziata già alla fine del 2022. Il 1 dicembre veniva accolto a Palazzo Chigi Mohamed Ould Cheikh El Ghazouani, Presidente della Repubblica di Mauritania. Si discute il rafforzamento dei rapporti bilaterali in campo commerciale ed energetico. Due giorni dopo, il 3 dicembre, la Commissione Europea sblocca 307 milioni di euro. Si dà, quindi, il via libera alla costruzione di 200 chilometri di gasdotto che collegherà Tunisia e Sicilia. Con l’inizio del 2023, tuttavia, aumenta la portata degli incontri istituzionali.

L’Algeria, partner privilegiato

Il 23 gennaio la Presidente è in Algeria. Tra il suo seguito, Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni. Descalzi ha modo, durante gli incontri tra i Capi di Governo dei due Paesi, di siglare un accordo con Toufik Hakkar, amministratore delegato dell’algerina Sonatrach. Tema dell’accordo, l’aumento delle forniture di gas dal Paese nord africano, l’apertura di un nuovo gasdotto per il trasporto di idrogeno, la posa di un nuovo cavo elettrico sottomarino nel Mediterraneo e l’aumento delle capacità algerine nell’ambito della produzione di GNL (gas naturale liquefatto). Impegni, quelli presi da Descalzi, importanti, che si inseriscono nel solco di una politica di vicinanza con il Paese nord africano. Vicinanza testimoniata dalla presenza dell’Eni sul suo territorio dal 1981 e dal fatto che nel 2022 l’Algeria è diventata il principale fornitore di gas del nostro Paese, spodestando la Russia.

La Libia

Il 28 gennaio Meloni è in Libia, accompagnata, tra gli altri, dal Ministro degli Esteri Tajani (che ha firmato con il suo omologo un accordo per la consegna di cinque ulteriori motovedette alla Guardia Costiera libica per il controllo della rotta mediterranea) e da Descalzi. In questa occasione Eni ha sottoscritto con la locale Noc un accordo per l’aumento delle forniture di gas entro il 2026. Investimenti stimati: otto miliardi di dollari.

In Azerbaijan aumenta l’interesse italiano

Oltre agli incontri in Nord Africa c’è poi l’implementazione dei rapporti con l’Azerbaijan. Qui, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il 13 febbraio ha avuto un colloquio con il Presidente Ilham Aliyev. Altro incontro, stesso copione. Questa volta è però la società Ansaldo Energie a firmare un accordo di 160 milioni di euro con l’azera Azerenerji, principale produttrice di energia del Paese, per la consegna di quattro turbine AE94.3A, eccellenza dell’ingegneria italiana. Sono seguite poi tavole rotonde riguardanti energia, ferrovie e, soprattutto, l’ampliamento del Trans-Adriatic Pipeline (TAP). L’obbiettivo è quello di raddoppiare l’attuale portata della TAP (10 miliardi di metri cubi all’anno) entro il 2026.

Rimodellare i rapporti con l’India

C’è poi il viaggio di Meloni in India del 1 marzo.  La visita a New Delhi ha, di fatto, messo la parola fine alle frizioni seguite al caso Marò e alla storia delle tangenti da parte della società Leonardo a membri del governo Modi. Proposito di entrambi i Governi è quello di aprire un nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali, manifestato nel reciproco appoggio allo smantellamento della via della seta. Per New Delhi l’obbiettivo è indebolire il colosso cinese e le sue ramificazioni in Asia, minaccia alla propria sicurezza. Roma, invece, vuole farsi perdonare da Washington l’apertura nei confronti del progetto di Pechino di alcuni anni fa, cercando allo stesso tempo di aumentare la propria influenza nei Balcani e nel Mediterraneo Orientale (regioni molto interessate dalla via della seta). Tra le due capitali c’è poi una simmetria di aspettative riguardo al rispettivo posizionamento sullo scacchiere internazionale. L’Italia vorrebbe fare da garante per una presa di posizione decisa da parte indiana riguardo alla guerra in Ucraina, mentre Modi cerca una sponda italiana nel dossier dell’Indo-Pacifico.

Gli Emirati Arabi, un’amicizia da ricostruire

Due giorni dopo, il 3 marzo, il Capo del Governo è ad Abu Dhabi. Ufficialmente l’incontro è stato organizzato al fine di riallacciare i rapporti con gli Emirati Arabi, dopo il raffreddamento seguito all’interruzione delle esportazioni di armi da parte dell’Italia nel luglio 2019. Obbiettivo della Premier, tuttavia, convincere il Presidente Mohammed bin Zayed Al Nahyan ad utilizzare il soft power emiratino per pacificare, o per lo meno tenere a bada, le milizie che imperversano in Libia e rendono l’attuazione di parte del Piano Mattei particolarmente complicata.

Il rischio dei partner inaffidabili

Accordo dopo accordo, bilaterale dopo bilaterale, il Piano Mattei inizia quindi a prendere forma. Non mancano tuttavia incertezze. Per la durevolezza degli impegni presi, innanzitutto. Troppo incerti, considerano i critici, quando si parla di partner commerciali la cui affidabilità è minima.

Ci si chiede, ad esempio, quanto possano valere gli accordi in Libia, un Paese spezzato in due, con due diversi Governi che si dicono entrambi legittimi, e con anni di guerra civile, tutt’ora in corso, sulle spalle. La cessione di motovedette (accompagnate dalle grandi elargizioni economiche che arrivano da Roma) e il soft power di un Emirato, che consideriamo realmente amico soltanto da pochi giorni, potrebbero non bastare a mantenere la solidità delle concessioni fatte ad Eni.

Il rapporto con l’Azerbaijan, poi, procede ottimista, fingendo di ignorare la vicinanza del Paese centro-asiatico con il Cremlino. Ma se il susseguirsi degli eventi globali dovesse mettere Baku di fronte ad una scelta netta tra noi e Mosca, è difficile immaginare un’inclinazione spensierata a favore delle politiche della Penisola.

I dubbi sul gas, una base fragile per il Piano Mattei?

Grandi dubbi, poi, riguardo al futuro del gas. La promozione del Piano Mattei, soprattutto per quanto riguarda l’adeguamento e la costruzione delle strutture atte a fare dell’Italia l’hub del gas europeo, richiede massicci investimenti. L’ottica con cui ciò viene fatto è che tale spesa sia ripagata nel corso degli anni con i profitti derivanti dal transito energetico attraverso il nostro Paese verso il resto del Continente. In effetti, tale proposito trova un’ottima sponda nel piano comunitario RepowerEu, il pacchetto di misure promosso da Bruxelles per spostare l’asse delle forniture energetiche dalla rotta est-ovest (dalla Russia) a quella sud-nord (attraverso il Mediterraneo).

Tuttavia, l’allineamento dei propositi italiani ed europei si scontra con il pacchetto Fit for 55, previsto dal RepowerEu. Fit for 55, in pratica, prevede la costante riduzione dei consumi di gas nell’Unione, con l’obiettivo di arrivare a un calo del 30% entro il 2030. All’attuale stato delle cose, il Piano Mattei, dicono i critici, risulterebbe, entro sette anni, anacronistico e oltremodo dispendioso per le casse dello Stato. Osservatori come Ana Maria Jaller-Makarewicz, analista dell’Institute for energy economics and financial analysis, sono scettici sulla reale necessità per l’UE di un hub come quello ricercato dal Governo Meloni:

I recenti tentativi di posizionare l’Italia come hub europeo del gas creano rischi finanziari tangibili, perché la domanda di gas è in calo (…) Sarebbe ragionevole per l’Italia e per altri governi europei non scommettere sulla crescita del GNL a lungo termine.

Nel breve periodo, comunque, la richiesta di gas non sembra calare, anzi la domanda globale è aumentata del 2% nel 2023 e ci si aspetta che continuerà a farlo anche l’anno successivo. Non solo, ma dopo la picchiata delle forniture energetiche dalla Russia, in Europa al momento non ci sono altre opzioni se non il GNL. Oltre ai dubbi riguardo all’effettiva utilità dell’hub italiano, quindi, aumentano quelli per la realizzabilità del Fit for 55.

Piano Mattei, economia e geopolitica

It is the economy, stupid! Con questo slogan nel 1992 Bill Clinton vinse le elezioni per la Casa Bianca contro il Presidente in carica, George Bush padre. Sembrava che Bush avesse la vittoria in tasca. Sotto la sua amministrazione l’esercito americano aveva condotto un’eccellente campagna contro l’Iraq nella Prima Guerra del Golfo, assicurando una di quelle vittorie militari nette che gli Stati Uniti, dopo il Vietnam, non erano più abituati a vedere. Eppure a vincere fu Clinton, un semi sconosciuto governatore dell’Arkansas. Erano gli anni ’90; finita la guerra fredda, l’Occidente stava cambiando e l’opinione pubblica iniziava a guardare con maggiore interesse alle prestazioni economiche, piuttosto che allo status internazionale. Clinton l’aveva capito; Bush, formatosi nella scuola della CIA (di cui per molti anni era stato direttore), no.

Sono passati 30 anni dal 1992, e sembra che la tendenza si stia invertendo. Accordi economici vengono messi da parte in favore del proprio posizionamento sullo scacchiere internazionale (si veda l’esempio della via della seta) e relazioni commerciali decennali vengono abbattute nel giro di pochi mesi. Anche il Piano Mattei si inserisce in questo nuovo approccio, che definisce gli accordi di politica estera sulla base strategica, piuttosto che economica.

Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Per che cosa? L’attuale esecutivo sembra rispondere in modo chiaro riguardo a quale sia lo scopo del suo Piano. Ridefinire lo status italiano. Aumentarne il peso scardinando una logica che per molto tempo ha visto il Paese inseguire le dinamiche mitteleuropee, a favore di una visione mediterranea del proprio spazio strategico. Fare dell’Italia, usando le parole di Celentano, il punto esclamativo tra il Centro Europa e l’Africa del Nord. Eppure, attorno all’immagine luminosa del punto esclamativo inseguita dall’Esecutivo, resta ancora qualche punto di domanda.

 

Riccardo Longhi

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