Nella scia di tensione che ha investito le acque di Lampedusa, un piano di “azioni immediate” per affrontare l’emergenza migranti è stato presentato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, durante la conferenza stampa con la premier Giorgia Meloni. Tuttavia, dietro questo piano si nascondono molte ombre e poche ragioni per sperare in un cambiamento reale.
1) Solidarietà con l’Italia
Il primo passo di questo piano è il supporto all’Italia attraverso Frontex e altre agenzie, con l’obiettivo di affrontare la crisi accogliendo, registrando e identificando i migranti in arrivo sull’isola.
2) Trasferimenti responsabili
L’intensificazione degli sforzi dell’UE per il trasferimento dei migranti da Lampedusa verso altre destinazioni mira ad una distribuzione equa delle responsabilità. Sollecitando i Paesi membri ad attivare il meccanismo volontario di solidarietà, si spera di offrire un rifugio ai più vulnerabili.
3) Rafforzare i rimpatri responsabili
Il piano prevede il sostegno delle strutture di Frontex per i rimpatri, con un’impegno nella creazione di legami più solidi con i Paesi di origine. Questo favorisce una gestione responsabile dei flussi migratori e una lotta più efficace contro i trafficanti.
4) Combattere i trafficanti
Un elemento cruciale di questo piano è l’aumento delle azioni per combattere i trafficanti, attraverso una riforma della normativa e una maggiore collaborazione con i Paesi di origine e transito. La lotta a questo nefasto commercio è fondamentale per proteggere i più vulnerabili.
5) Intensificare la sorveglianza
La sorveglianza aerea e navale, sia attraverso Frontex che attraverso nuove missioni come Sophia, rappresenterebbe un ulteriore sforzo per garantire la sicurezza in mare e prevenire tragedie umane.
6) Distruggere le reti logistiche dei trafficanti
Una delle azioni più concrete del piano è la lotta contro la logistica dei trafficanti. Le imbarcazioni utilizzate per il traffico di esseri umani verranno sequestrate e distrutte.
7) Accelerare l’esame delle domande
Per accelerare l’esame delle domande presentate dai migranti e per assicurarsi che le richieste prive di fondamento siano respinte, il personale dell’Agenzia UE per l’asilo affiancherà e aiuterà le autorità italiane.
8) Corridoi umanitari
L’offerta di alternative valide alle rotte illegali attraverso il rafforzamento dei corridoi umanitari è una delle pietre miliari e più utopistiche del piano. Questa misura mira a contrastare i trafficanti e a spezzare il circolo vizioso delle migrazioni pericolose.
9) Collaborazione con le agenzie Onu
La collaborazione con le agenzie delle Nazioni Unite (Unhcr e Oim) sarà fondamentale per garantire la protezione dei migranti, anche durante i ritorni assistiti.
10) Nuovi progetti e sblocco dei fondi
Infine, l’impegno per la definizione di nuovi progetti di lotta ai traffici illegali di migranti, in collaborazione con la Tunisia, è un passo verso una soluzione che porterà migliaia di persone a morire nei deserti che affrontano prima di affrontare il Mediterraneo. Questi progetti potrebbero anche portare allo sblocco dei fondi messi a disposizione dall’UE, ma cosa si intende quando si afferma che garantirebbero una gestione più sostenibile dell’immigrazione?
Dietro ognuno di questi punti, dietro il fumo delle parole pronunciate dalla Von der Leyen e il nuovo tono minaccioso adottato dalla politica italiana, rivolto direttamente alle vittime dell’emergenza migratoria, si nasconde un messaggio inquietante: l’idea che chiunque metta piede in Italia o in Europa senza la benedizione di un visto d’ingresso sia automaticamente un criminale, e che persino i mezzi usati per arrivare – che siano barchini, barconi o semplicemente le gambe che hanno affrontato il difficile percorso attraverso i Balcani – siano da considerarsi illegali.
In questa retorica discriminatoria, il concetto di status di rifugiato e il diritto d’asilo sembrano svanire nel nulla, trascinati via da un vento di populismo e intolleranza. E ciò che è ancora più sconcertante, la decenza ipocrita che finora ci aveva spinto a delegare la gestione dei campi di concentramento ai dittatori libici, tunisini e turchi ora sembra collassare sotto il peso di una politica repressiva condotta direttamente dalle forze armate italiane.
Nei punti precedentemente riportati, si legge spesso il tentativo di contrastare i trafficanti e gli scafisti, ma osservando le immagini dei piccoli barchini provenienti dall’Africa e diretti verso Lampedusa, attraverso un percorso di 170 chilometri attraverso le acque del Mediterraneo, è difficile non notare quanto il “mestiere” dello “scafista” sia uno tra quelli destinati a scomparire. Anche coloro a cui la natura non ha elargito generosamente doni intellettuali, coloro che potremmo definire “meno fortunati” in termini di capacità, sembrano essere in grado di manovrare un semplice motore fuoribordo. Gestire la barra di controllo di queste imbarcazioni sembra un compito alla portata di chiunque abbia almeno una mano funzionante e un occhio che non presenti gravi limitazioni visive. La stragrande maggioranza dei migranti, salvo rare eccezioni, dispone di due mani e due occhi perfettamente idonei a questa attività.
L’organizzatore di queste pericolose traversate non può essere semplicemente identificato come uno scafista. In realtà, si tratta di un criminale senza scrupoli che commercia con la vita umana. Questo individuo fornisce imbarcazioni di fortuna, gommoni, barchini in ferro, motori e carburante. È lui a decidere chi può partire, accumula enormi somme di denaro e dà istruzioni alla sua rete di complici, per aprire o chiudere i rubinetti in base alle sue esigenze economiche.
Va da sé che il trafficante non si sporca mai le mani direttamente; il lavoro sporco viene delegato ai suoi scagnozzi. Le sue mani, non fanno altro che contare avidamente i profitti accumulati sfruttando la disperazione altrui e ricattando coloro che, in realtà, vorrebbero mantenere le distanze da questa tragica situazione, relegando i poveri migranti al fondo del mare o a spaccarsi la schiena per una miseria nelle campagne italiane.
Per quanto riguarda i Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), proposti come parte di questa iniziativa, rappresentano la cristallizzazione di una visione distorta. Ogni regione sarà dotata di un CPR, gestito dalle forze armate, dove coloro che hanno attraversato continenti alla ricerca di sicurezza verranno privati della libertà per ben 18 mesi. Il loro diritto fondamentale a cercare asilo è stato trasformato in un reato, con l’internamento preventivo in strutture che richiamano, per molti versi, i campi di concentramento.
Ma possiamo davvero credere che questo governo, o qualsiasi altro, possa risolvere la complessa questione dell’immigrazione con misure di questo genere? È importante notare che lo Stato attualmente destina solo 50-60 milioni di euro al problema, una somma irrisoria rispetto alle dimensioni dell’emergenza.
Considerando questi dati, è necessario mettere in evidenza i costi finanziari dell’idea proposta dalla Meloni. La costruzione di 10 nuovi CPR da sola comporterebbe una spesa di circa 100 milioni di euro. A questa cifra si aggiungerebbero le spese per il personale e la polizia, che raggiungerebbero decine di milioni. Il costo del mantenimento dei migranti nei CPR, in particolare con l’estensione della detenzione a 18 mesi, verrebbe a superare i 30.000 euro per migrante. Supponendo che il governo riesca a rimpatriare la metà dei migranti che arrivano, si parla di una spesa di 1,5 miliardi per 50.000 persone detenute su 100.000 arrivi.
Non bisogna dimenticare i costi dei rimpatri, stimati intorno ai 2.500 euro a persona, ai quali si aggiunge il costo del trasporto per due agenti di scorta per ogni migrante rimpatriato, che richiede ulteriori biglietti aerei. Se si rimpatriassero effettivamente i famosi 50.000 migranti, i costi, basandosi su una stima a ribasso, ammonterebbero ad altri 125 milioni di euro.
In un momento in cui al governo la maggioranza lotta per emendamenti da pochi milioni di euro nella finanziaria di quest’anno, è evidente che non ci sono risorse economiche adeguate per sostenere questa iniziativa. La sua implementazione potrebbe comportare un caos finanziario e politico, con centinaia di milioni di euro sottratti da settori essenziali come il welfare e bruciati nel giro di pochi anni.
L’approccio proposto dall’Unione Europea e dal governo italiano per affrontare l’emergenza migratoria solleva più domande che risposte. È giunto il momento di mettere da parte le politiche punitive e di cercare soluzioni umane e sostenibili che affrontino le radici del problema, piuttosto che creare un caos costoso e disumano.