Philippe Petit e l’impresa inimitabile: camminare tra le Torri Gemelle

Philippe Petit

7 agosto 1976. A New York è un mattino come tanti altri, o almeno così sembra. Immaginate di stare camminando nei dintorni del World Trade Center e di essere davanti alle Torri Gemelle. Alzando lo sguardo, 400 metri più su, vi sembra di intravedere una figura nera librare sopra le vostre teste. Non è uno scherzo, tanto meno la scena di un film di Hollywood.

L’omino nero su quella fune invisibile non è uno stuntman e non indossa alcuna imbragatura di sicurezza. L’unica cosa che porta con sé è una lunga asta, anch’essa nera. State assistendo a un’impresa folle, senza precedenti né repliche. Probabilmente una delle più sconvolgenti a cui potrete mai assistere. Sicuramente quella che renderà Philippe Petit il funambolo più famoso al mondo.

Ma chi è Philippe Petit?

Pur essendo noto quasi esclusivamente per le sue imprese da funambolo, Philippe Petit è un artista dotato di numerosi talenti. Infatti è anche un mimo, un giocoliere e un circense, oltre ad essere scrittore, disegnatore e insegnante. Da bambino si appassiona alla prestidigitazione e al teatro, prima di innamorarsi della fune. E per dieci anni si cimenta nelle attività più disparate: dalla scultura alla pittura, dalla scherma alla stampa, passando per la falegnameria e l’equitazione. A diciassette anni è già uno strabiliante funambolo autodidatta, in grado di compiere tutti i movimenti che si possono fare su una corda con estrema semplicità ed eleganza.

Genio e sregolatezza

Appena diciottenne abbandona la scuola e lascia la sua famiglia per diventare un artista di strada. Nel frattempo era già stato espulso da ben 5 istituti. Principalmente per via del suo rifiuto di sostenere gli esami, ma anche perché si divertiva a commettere piccoli furti a discapito dei suoi insegnanti.

Nella sua vita è stato arrestato più di 500 volte, ma non per i furti.  Semplicemente perché tutte le sue imprese da funambolo avvenivano senza autorizzazioni, e senza pubblicità. Era un “arte criminale”, ma era il suo modo di fare arte. Nessuno poteva sapere quando e dove sarebbe stata la prossima performance. Ciò non toglie che dietro ognuna di esse vi fossero anni di studio e meticolosa preparazione.

Il progetto della traversata

Per portare a termine quella che sarebbe diventata la sua impresa più famosa, Philippe Petit impiega circa 6 anni. Durante i quali, racconta in un’intervista, ha progettato lui stesso l’attrezzatura e la sistemazione, curando fino in fondo ogni singolo dettaglio.

Tra il 1968 e il 1976, legge ogni articolo a sua disposizione riguardante le Twin Towers, e va a vederle di persona più volte durante la loro costruzione. Insieme ai suoi fidati collaboratori si introduce negli edifici (grazie a dei cartellini identificativi falsi) per studiarne le geometrie e calcolare la sistemazione migliore per la corda. Scatta anche delle foto aeree degli edifici, per poter visualizzare meglio il “palcoscenico”, e costruisce un modello in scala delle due torri.

Il giorno prima della traversata, Philippe Petit si finge un giornalista della rivista francese “Metropolis” e ottiene il permesso di intervistare gli operai sul tetto. Con questa scusa è in grado di arrivare ai piani alti dove poi si nasconde e passa la notte.

L’impresa inimitabile

Il 7 agosto, intorno alle 7 di mattina, ha inizio lo show. Munito solamente di una lunga asta nera, Philippe Petit si accinge a camminare su una sottile fune d’acciaio che collega i due iconici edifici. Lo spettacolo va avanti per quasi un’ora. Nel frattempo una folla di persone assiste stupefatta alle gesta dell’Uomo Volante. Vi sono anche alcuni ufficiali di polizia che, per contro, intimano al giovane francese di smettere immediatamente.

Ma Philippe non si lascia intimidire e continua a fare avanti e indietro, per ben 8 volte, da un’estremità all’altra della fune. Poi si lascia catturare, ma non prima di aver fatto sfoggio delle sue doti da funambolo: distendendosi sulla corda, inginocchiandosi e salutando gli spettatori che lo acclamavano con entusiasmo. Agli ufficiali che lo stavano arrestando rispose con quella semplicità ed eleganza che lo contraddistinguono:

“Se vedo tre arance faccio il giocoliere, se vedo due torri ho voglia di passare da una all’altra”.




Il funambolo come modo di vivere

Sotto molti punti di vista la vita di Philippe Petit è stata funambolica. Già a partire dalla sua scelta di diventare un artista di strada. Si è sempre mosso come se vivesse sospeso su una fune, a metà tra la terra e il cielo, facendo della sua arte il suo sostentamento.  Infatti, come spiega bene in un’altra intervista, per lui quello del funambolo non è un mestiere ma un modo di vivere, carico di un forte valenza simbolica e spirituale. E probabilmente un certo filosofo sarebbe stato d’accordo con lui.

«Una traversata sul filo è una metafora della vita: c’è un inizio, una fine, un progresso, e se si fa un passo di lato, si muore. Il funambolo avvicina le cose destinate a restare lontane, è la sua dimensione mistica».

Vincenzo Rapisardi

 

 

 

 

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