La Pfizer abbandona la ricerca sull’Alzheimer!

Leyton.com

Perché Pfizer ha deciso di interrompere le ricerche sull’Alzheimer.

Ieri Merck, oggi Pfizer: due delle più grandi case farmaceutiche americane hanno rinunciato alla ricerca su due malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson. Il motivo? Gli sforzi fatti durante le innumerevoli ricerche non hanno prodotto alcun risultato soddisfacente.  
La società statunitense ha inoltre aggiunto che licenzierà 300 persone nel settore delle neuroscienze, sottolineando che i fondi verranno destinati ad altri programmi di ricerca, senza pero’ rinunciare alla lotta contro le malattie neurodegenerative. 
Il primo ad annunciare la decisione drastica presa dal colosso farmaceutico è stato il Wall Street Journal: gli investimenti profusi non sono stati sufficienti, così come era stato per il Parkinson, ad ottenere risultati degni di nota contro il morbo.
Per questo la società farmaceutica americana ha deciso di deviare altrove, su altri campi di ricerca, le proprie risorse. 
Gli sforzi di trovare un antidoto alla demenza che colpisce decine di milioni di persone nel mondo sono stati costosi ma futili che ha quindi deciso di abbandonare la strada intrapresa. Lo stesso destino toccherà anche alla ricerca contro il Parkinson, per il quale non è stato ancora trovato un trattamento risolutivo.
Questo ha spiegato la società. 
Nell’ultimo decennio, infatti, i farmaci sperimentali contro l’Alzheimer hanno ripetutamente fallito nel rallentare la malattia. Alla fine dello scorso anno, anche un farmaco anticorpo infuso nei corpi dei pazienti, prodotto da Eli Lilly, non ha avuto un effetto significativo sulla malattia. In precedenza, nel 2012, il farmaco realizzato dalla stessa Pfizer, insieme con Johnson & Johnson ed Elan Pharmaceuticals, simile al farmaco Lilly, aveva fallito il suo scopo. 

 

The indianexpress

 

L’Alzheimer in Italia: panorama generale.

Ma quanti sono in Italia i malati di Alzheimer? 
Secondo quanto riportato dall’ultimo rapporto Censis (2016)  sono in tutto 600.000. 
L’Adi (Alzheimer’s Disease International) ha stimato a livello mondiale per il 2015 oltre 9,9 milioni di nuovi casi di demenza all’anno. Solo due anni fa, Eric Baclet- presidente e AD di Lilly Italia– diceva questo sull’Alzheimer.
Siamo certi che, di fronte ai dati epidemiologici e all’impatto socio-economico di questa patologia, solo attuando uno sforzo sinergico tra tutti gli attori potremo trovare una strategia di azioni sostenibili, volte a migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro caregiver: dalla prevenzione alla diagnosi certa, dai trattamenti farmacologi al percorso assistenziale adeguato ai bisogni

Parlava di sforzo sinergico, parlava di trattamenti farmacologici: tutto quello a cui Merck  e Pfizer hanno deciso di rinunciare.

La memoria è vita! 

Ma cosa si prova quando ci si trova faccia a faccia con l’Alzheimer? Cosa si prova quando ti viene diagnosticata una malattia neurodegenerativa che ti porta a resettare tutto quello che fai, tutto quello che hai fatto, vissuto, creato, studiato, sudato, voluto, desiderato? Cosa si prova? C’è un film “Still Alice“, scritto e diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland, che ha provato a spiegarlo.
Alla protagonista, interpretata in maniera impeccabile da Juliane Moore, viene diagnosticato l’Alzheimer, ma questo non le impedirà di lottare fino alla fine per non perdere la sua vita, i suoi ricordi. Non ce la farà, l’Alzheimer correrà più forte di lei. Ma la forza con cui la donna cercherà di aggrapparsi alla vita, è la dimostrazione di quanto sia sbagliato togliere la speranza a chi nella speranza ci crede. A chi quella memoria non vuole cancellarla. A chi a quei volti familiari non vuole rinunciare.
Ecco un discorso di Alice (Juliane Moore)  tratto dal film:
Sono una persona che convive con l’esordio precoce dell’Alzehimer e, in quanto tale, mi trovo ad apprendere l’arte del perdere ogni giorno. Perdo l’orientamento, perdo degli oggetti, perdo il sonno ma soprattutto perdo i ricordi. In tutta la mia vita ho accumulato una massa di ricordi che sono diventati in un certo senso più preziosi tra tutti i miei averi. La sera in cui ho conosciuto mio marito, la prima volta in cui ho tenuto tra le mani un libro, la nascita dei miei figli, le amicizie che ho fatto, i viaggi per il mondo. Tutto quello che ho accumulato nella vita, tutto quello per cui ho lavorato con tanto impegno ora inesorabilmente mi vene strappato via. Come potete immaginare o anche come sapete questo è atroce. Ma c’è ancora di peggio. Chi ci può più prendere sul serio quando siamo così distanti da quello che eravamo? Il nostro strano comportamento e il nostro parlare incespicante cambia la percezione che gli altri hanno di noi e la nostra percezione di noi stessi. Noi diventiamo ridicoli, incapaci, comici ma non è questo che noi siamo. Questa è la nostra malattia e come qualunque malattia ha una causa, ha un suo progredire e potrebbe avere una cura. Il mio più grande desiderio è che i miei figli, i nostri figli, la prossima generazione non debba affrontare quello che sto affrontando. Ma tornando all’oggi sono ancora viva. So di essere viva. Ho delle persone che amo profondamente, ho delle cose che voglio fare nella vita. Me la prendo con me stessa perché non riesco a ricordarmi le cose ma ho ancora dei momenti nella giornata di pura allegria, di gioia e vi prego non pensate che io stia solo soffrendo. Seppure sto soffrendo io mi sto battendo sto lottando per restare parte della realtà, per restare in contatto con quella che ero una volta. Così “vivi il momento” è quello che mi dico. È davvero tutto quello che posso fare vivere il momento e non massacrarmi più del necessario per imparare l’arte di perdere. Una cosa che cercherò di conservare è il ricordo di aver parlato qui oggi. Se ne andrà lo so che se ne andrà. Potrebbe essere già sparito domani. Ma è talmente importante per me parlare qui oggi come la mia vecchia ambiziosa me stessa che era tanto affascinata dalla comunicazione.
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Non c’è una scelta giusta o sbagliata. Ma esiste la scelta morale che forse è la più importante di tutte. Risultati poco efficaci non sono un buon motivo per abbandonare le ricerche di due delle più note malattie neurodegenerative (Alzehimer e Parkinson). Non è giusto per i malati, che hanno bisogno di sapere e credere che qualcuno lotta insieme a loro e non è giusto per chi ama quei malati, che ogni giorno si deve alzare sapendo di dover rinunciare alla speranza di una cura.
E nessuno, nessuno ha il diritto di togliere la speranza a chi ci si aggrappa. Nemmeno due colossi farmaceutici come Merck e Pfizer.
Francesca Conti
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