Nella regione Veneto l’acqua è veleno e ormai i cittadini lo sanno bene. Le zone più a rischio sono Vicenza, Verona e Padova, dove vivono 350 mila persone. Persone che rischiano la loro vita per la presenza di Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) nell’acqua che bevono. Queste sostanze sono una classe di inquinanti persistenti globali, usati per moltissimi prodotti di largo consumo quotidiano.
I Pfas vengono usati per il rivestimento anti-aderente delle padelle, nella carta da forno e per la produzione di pesticidi e insetticidi, detersivi, pelli, tessuti impermeabili. Ma anche per i contenitori degli alimenti, come i sacchetti delle patatine, che possono presentare tracce di inquinante.
Le malattie portate dai Pfas
Le conseguenze per la salute sono gravissime: alte concentrazioni di pfas nel sangue causano cancro ai reni, ai testicoli o al fegato e altri tipi di tumore. Ancora più allarmanti sono i rischi per la salute delle donne in gravidanza. Come evidenziato da uno studio della stessa Regione, i bambini possono incorrere in malformazioni del sistema nervoso, circolatorio e cromosomico. Ma anche nel diabete gestazionale e nella pre-eclampsia, che può mettere in pericolo la vita della mamma e del figlio.
La scoperta dei Pfas nell’acqua del Veneto
Nel 2013 in un comunicato la Regione ha segnalato “la presenza in alcuni ambiti del territorio regionale di sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili“. Ciò è avvenuto “a seguito di alcune ricerche sperimentali su potenziali inquinanti “emergenti” effettuate su incarico del Ministero dell’Ambiente“.
L’agenzia regionale per l’ambiente, ha “rilevato che il 97% della quantità di PFAS scaricate in fognatura provenivano da MITENI S.p.A. (azienda che produce sostanze perfluorurate tra cui anche alcuni dei composti oggetto della contaminazione)”. La Miteni è stata infatti costruita nel 1965 sopra la falda acquifera che rifornisce gli acquedotti che danno da bere alle tre province di Vicena, Verona e Padova.
La presenza di Pfas nel sangue
Nei mesi scorsi la Regione Veneto ha sottoposto a screening sanitario un campione di 85mila persone che vivono nelle zone più contaminate con lo scopo di misurare i livelli di Pfas e verificare l’insorgenza di patologie ad essi collegate. Molti cittadini di Montecchio Maggiore, comune limitrofo alla Miteni, hanno provveduto ad effettuare a proprie spese gli esami per verificare la presenza di queste sostanze nel sangue. I risultati di quest’ultimi rivelano rispetto agli standard livelli da 2 a 20 volte maggiori di acido perfluoroottanoico (Pfoa) – una sostanza del gruppo dei Pfas che l’Agenzia internazionale per la Ricerca sul cancro (Iarc) classifica come “potenzialmente cancerogena per l’uomo” .
Dallo screening ufficiale è emerso che nei quattordicenni i valori di Pfoa sono fino a 35-40 volte più alti del normale.
Ciò denota come le misure di sicurezza prese dal 2013 non siano state abbastanza utili. In particolare il Veneto ha disposto “l’istallazione di specifici filtri a carboni attivi“, ma, come ammesso dalla stessa regione, questi possono “subire una riduzione della capacità depurativa”, dovuta ad esempio all’usura. Nel tempo in cui i filtri devono essere cambiati i cittadini non sono quindi tutelati.
Con le misure adottate comunque vengono rispettati o sforati di poco i limiti di presenza di Pfas nell’acqua fissati dall’Istituto Superiore della Sanità. Ma il limite è stato posto a 500 ng/l, che è decisamente molto più alto del valore statunitense di 70 ng/l e di quello tedesco di 100 ng/l. Soprattutto tenendo conto che queste sostanze nemmeno dovrebbero esserci nell’acqua.
Molto si sta ancora facendo
Ad aprile di quest’anno è iniziato l’operazione Controllo PFAS Nelle Scuole Venete, con un monitoraggio che è partito da Verona. Con una delibera di luglio di quest’anno la Regione Veneto ha lanciato un programma di plasmaferesi o scambio plasmatico, che consiste nel “lavare” il sangue per abbassare la concentrazione di questi inquinanti. Intervento però inutile se non si abbassano i livelli di Pfas ammessi nell’acqua potabile e non si previene l’emissione in ambiente.
Il comitato “Mamme no Pfas genitori attivi zona rossa” due giorni fa si è confrontato con i vertici della Regione. La richiesta fondamentale è quella di avere acqua a zero Pfas. L’acqua dovrebbe essere prelevata da fonti pulite e distribuita attraverso autobotti e “cassette dell’acqua” a solo uso alimentare. Tra un mese avranno la risposta.
Nel frattempo l’11 settembre si riunirà la Commissione d’inchiesta per le acque inquinate del Veneto in relazione alla contaminazione di Pfas. Lo scopo sarà quello di fare chiarezza sul problema e su come risolverlo.
I genitori contro i Pfas si riuniranno invece il 10 ottobre a Lonigo (VI) . Chiederanno alle Autorità presenti di firmare pubblicamente l’impegno per un’acqua zero Pfas e per velocizzare l’allacciamento a nuove fonti.
Per l’evento hanno anche creato un video che vuole sensibilizzare sul tema dei Pfas presenti nell’acqua:
Camilla Gaggero