L’indagine sui prodotti agricoli è stata condotta tra 2016 e 2017. Solo dopo molti anni, grazie all’insistenza di Greenpeace e delle Mamme no PFAS, i dati sono stati resi pubblici.
La Regione Veneto, per anni, ha negato l’accesso ai dati, nonostante le continue sollecitazioni da parte dei cittadini e di altre associazioni ambientaliste. I primi dati su PFAS in Veneto sono arrivati nel 2013. A questi sono seguiti quelli sui prodotti agricoli. Anche in questo caso nessuna informazione è stata, fin da subito, esplicitata.
Soltanto dopo continue lotte e grazie alla sentenza del Tar del Veneto, Greenpeace e le Mamme no PFAS, un gruppo di mamme che dal 2013 si è unito per chiedere chiarezza sulla questione, sono riusciti ad ottenere i dati sui vari monitoraggi effettuati dalla Regione.
Il quadro che emerge dai dati raccolti è davvero raccapricciante.
Le falde acquifere sono inquinate, l’aria è inquinata, la terra è inquinata.
Si tratta di un circolo che, come conseguenza, porta sulle tavole degli italiani e non solo, prodotti non sicuri. Non è dato sapere, inoltre, se tali prodotti alimentari vengono immessi in commercio, se vengono commercializzati solo in Veneto, in Italia o se vengono anche esportati.
Alcuni dati del 2017 hanno portato alla luce vari esami condotti su moltissimi bambini che, in quella determinata zona, hanno livelli di colesterolo altissimi dovuti proprio alla presenza di PFAS nel territorio e negli alimenti.
Cosa intendiamo quando parliamo di PFAS
La sigla PFAS sta per sostanze perfluoroalchiliche o acidi perfluoroacrilici. Sostanze chimiche, quindi, utilizzate dall’industria per la loro capacità di rendere i prodotti impermeabili all’acqua e ai grassi. Resistenti al tempo questi prodotti sono veri e propri veleni perché causano infertilità, problemi al cuore, problemi di circolazione, malattie della tiroide, ipertensione e cancro ai reni.
Nelle falde acquifere inquinate da PFAS in Veneto sono stati, successivamente, inseriti dei filtri che hanno il compito di ripulire l’acqua. Tuttavia la Regione Veneto non ha ancora fornito delle linee guida su come comportarsi in riferimento al consumo dei prodotti agricoli autoprodotti e di quelli che vengono immessi in commercio e che quindi entrano a far parte della filiera alimentare.
La zona in cui sorgeva la fabbrica incriminata, ormai chiusa, dovrebbe essere sottoposta a bonifica. Il sottosuolo contiene, ancora oggi, livelli di PFAS altissimi che la pioggia riversa nei terreni circostanti.
L’azienda incriminata
La responsabile di questo disastro ambientale è la Miteni di Trissino in provincia di Vicenza. La fabbrica ha sversato per decenni veleni nel fiume. Ed è proprio attraverso le acque che questi veleni tossici sono arrivati a inquinare i territori di ben quattro province del Veneto.
In passato, l’attenzione pubblica sulla fabbrica si è accesa in seguito alla morte di alcuni operai. Non si è mai saputo se, effettivamente, vi fosse una correlazione tra le morti e l’utilizzo di PFAS.
La Miteni si difende dicendo di aver avviato un processo di bonifica del terreno circostante e chiarendo di non essere l’unico impianto a produrre sversamenti tossici di PFAS, puntando il dito su altre fabbriche presenti su tutto il territorio vicentino.
Intanto il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ribadisce l’impegno della regione per la risoluzione del problema e rassicura i cittadini sostenendo la volontà di monitorare la situazione, arrivando ad una soluzione.
Prima o poi.