Anni di ricerche hanno condotto alcuni studiosi odierni a ritenere che La Bella e la Bestia affondi le sue radici nell’insolito destino di un personaggio reale: Petrus Gonsalvus.
Le origini della fiaba
La Bella e la Bestia è una storia d’amore senza tempo, il racconto di un sentimento capace di andare oltre le apparenze per scoprire la bellezza innata.
La nota fiaba della giovane che si innamora di un essere dalle sembianze mostruose circola in Europa da secoli. Le sue origini sarebbero da ricercarsi nella storia di Amore e Psiche, raccontata da Apuleio nel II secolo d. C. nelle sue Metamorfosi (o L’Asino d’Oro). Benché siano numerose le versioni di questo racconto, quella da cui sono tratti i successivi e ben noti adattamenti cinematografici è nata dalla penna di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont nel 1756. Questa versione, tuttavia, è una riduzione della precedente pubblicazione di Gabrielle de Villeneuve edita nel 1740 con il titolo La Belle et la Bête.
Altre fonti suggeriscono invece un’interpretazione più suggestiva, secondo cui la scrittrice francese avrebbe tratto ispirazione da una grande storia d’amore che, nel XVI secolo, legò due personaggi realmente esistiti, Petrus Gonsalvus e Catherine, dama di compagnia di Caterina de’ Medici. È quanto sostengono l’accademico spagnolo Enrique Carrasco nel suo saggio “La mia vita tra i lupi” e lo storico italiano Roberto Zapperi in “Il selvaggio gentiluomo. L’incredibile storia di Pedro Gonzales e dei suoi figli”.
Petrus Gonsalvus, un selvaggio a corte
Tutto ebbe inizio nel 1537. Nell’allora selvaggia isola di Tenerife, i re guanci combattevano contro gli invasori spagnoli. La nascita del figlio di due mencey, due capi indigeni, gettò nello sconforto i genitori. Pedro Gonzales nacque infatti con il corpo completamente ricoperto da un’innaturale peluria lanuginosa e rossiccia. Il piccolo era affetto da ipertricosi. I genitori, figli della loro epoca e quindi suggestionabili e superstiziosi, lo abbandonarono. Il destino volle che il bimbo fosse salvato da alcuni religiosi. All’età di 10 anni, venne rapito da corsari francesi che decisero di farne dono a Enrico II di Valois, re di Francia.
In un’epoca segnata da grandi scoperte e dal desiderio di possedere tutto ciò che appare bizzarro ed esotico, i regnanti d’Europa collezionano nani, giganti, aborigeni da mostrare con ostentazione ai loro invitati. Si convertono in mecenati della deformità e delle disfunzioni patologiche.
Il piccolo Pedro Gonzales dovette certamente suscitare scalpore quando giunse, in una gabbia, alla corte di Valois. Il monarca decise di crescerlo come un gentiluomo. Il suo nome venne latinizzato in Petrus Gonsalvus e il giovane imparò il latino, il francese, la retorica. Venne istruito nelle discipline umanistiche e con il tempo acquisì delle maniere impeccabili e raffinate.
Alla morte del re nel 1559, Petrus divenne proprietà di Caterina de’ Medici, che aveva in serbo per lui “grandi progetti”. Desiderava infatti assicurare al mostruoso gentiluomo una progenie altrettanto bestiale. Nel 1573 “l’uomo lupo” sposò la bella Catherine, una nobildonna parigina dama di compagnia della regina. Superato lo sgomento iniziale di fronte al futuro marito, Catherine imparò ad apprezzare l’intelligenza, la sensibilità e la dolcezza di Petrus, fino ad amarlo. Il loro matrimonio sarebbe durato 40 anni. Petrus e Catherine ebbero anche 6 figli, quattro dei quali ereditarono la patologia paterna.
Petrus Gonsalvus e la sua famiglia furono vittime dell’ignoranza dell’epoca
Nonostante le buone maniere e gli abiti di foggia pregiata, Petrus e la sua famiglia non furono mai liberi e durante tutta lo loro vita girarono le corti europee per essere di volta in volta messi in mostra come fenomeni da baraccone.
L’ignoranza dell’epoca decise il loro destino. Quando Caterina de’ Medici morì, passarono al duca di Parma, Ranuccio Farnese e, in questa occasione, una delle figlie, la piccola Antonietta, detta Tognina, fu regalata, come un oggetto da collezione, a Isabella Pallavicino, marchesa di Soragna.
Petrus e Catherine si ritirarono infine nella tranquillità di Capodimonte, sul lago di Bolsena, lontano dalla vita mondana. Lei si spense nel 1623, lui presumibilmente nel 1618, all’età di 81 anni.
La famiglia Gonsalvus nell’arte e nella scienza
Informazioni sulla vita di Petrus Gonsalvus e della sua famiglia sono reperibili oggi negli Archivi Vaticani e negli Archivi di Stato di Roma e Napoli.
La patologia di Petrus e dei suoi figli indusse molti principi e nobili, che non potevano vederli di persona, a commissionare ritratti di questa famiglia di “selvaggi”. I loro occhi profondi, senza ombra di rimprovero per l’interesse morboso che suscitavano, ci osservano oggi da numerosi ritratti. Alcune tele sono conservate nella Camera dell’arte e delle curiosità del castello di Ambras, a Innsbruck: facevano parte della collezione di stranezze dell’arciduca Fernando II d’Austria.
Petrus fu un vero gentiluomo: colto, intelligente e ben educato. Si noti però che il soprannome con il quale veniva sempre chiamato era Barbet, dal cane da pastore belga caratterizzato da un pelo folto, ricciuto e lanoso. Nemmeno la nobile educazione ricevuta fu dunque sufficiente per liberarlo dallo stigma di “bestia” e di “mostro”, che gli rimase appiccicato addosso tutta la vita.
È con questi termini che lui e i suoi figli vengono catalogati dal naturalista italiano Ulisse Aldrovandi nel suo compendio Monstrorum Historia: esseri poco più che bestiali, ma non del tutto umani. Solo la scienza moderna restituirà loro dignità umana, scoprendo che soffrivano di una malattia rara, l’ipertricosi congenita generalizzata -anche detta sindrome di Ambras–, caratterizzata da un eccesso di peli su tutto il corpo.
Petrus Gonsalvus e Catherine: un amore autentico
L’insolito destino di questo personaggio è controverso e porta con sé un bagaglio di implicazioni storiche, scientifiche, sociali e morali. Andando oltre tutto questo, è però possibile lasciarsi commuovere dalla sua vicenda. Una vita tremendamente triste e per certi versi affascinante.
La storia dello straordinario amore tra Petrus Gonsalvus e Catherine ci suggerisce la morale che sarà poi della fiaba La Bella e la Bestia.
Questo amore singolare, autentico, che abbatte barriere apparentemente insormontabili e dura tutta la vita ci insegna che la bellezza è relativa, è solo un miraggio. Catherine lo capì, riuscì a guardare oltre e si innamorò di un uomo buono.
Camilla Aldini