I riversamenti di petrolio in mare hanno effetti altamente deleteri per gli ecosistemi. Pesci, barriere coralline, uccelli, pagano a caro prezzo i nostri “Ops, ci siamo sbagliati”.
Non a caso alle Mauritius, ancor prima che si spezzasse in due la petroliera MV Wakashio, è stata dichiarata l’emergenza ecologica.
Sappiamo cosa succede quando finisce del petrolio in mare?
Innanzitutto si altera rapidamente la composizione chimica del petrolio (weathering). Questo per via di una serie di fattori meteo-climatici, come azione dell’acqua, di micro-organismi e radiazioni solari.
Il vento e le correnti marine possono favorire la dispersione del petrolio, consentendo la sua solubilizzazione e conseguente biodegradazione. Ma, se il petrolio è molto viscoso, spesso si formano delle emulsioni di acqua e petrolio, che aumentano la massa inquinante e rallentano il processo dispersivo. Viceversa, se è poco viscoso, tende a espandersi e danneggiare aree maggiori.
Inoltre, gli idrocarburi leggeri presenti nel petrolio, pur essendo solubili, evaporano in fretta, andando a inquinare l’aria.
E non è finita…
Se il petrolio lega con particelle solide presenti sulla superficie marina, può formare aggregazioni di peso maggiore dell’acqua. E, inevitabilmente, esse si depositano sul fondo del mare, andando a danneggiarne l’ecosistema.
Ci sono poi le reazioni chimiche che possono intervenire per effetto delle irradiazioni solari. Tali reazioni possono originare residui persistenti, come aggregati di catrame ossidati, inattaccabili dai micro-organismi marini. Peraltro, i micro-organismi in grado di biodegradare alcuni componenti del petrolio ci riescono solo nei mari caldi.
Le conseguenze dei riversamenti di petrolio in mare sulle coste
Oltre ai sedimenti che raggiungono il fondo del mare, il petrolio spesso arriva a compromettere le coste. Nel caso di coste sabbiose, e pertanto più porose, le sedimentazioni sono destinate a perdurare per tempi lunghissimi.
Sulle coste rocciose i danni sono solitamente contenuti, perché il petrolio viene rimosso dalle onde. Se in zone riparate, tuttavia, sono anche più gravi che in aree sabbiose, per la difficoltà di eseguire interventi di bonifica.
Un caso a sé, ma di terrificante gravità, è rappresentato dalle barriere coralline. Ormai è accertato quale impatto devastante abbiano i combustibili fossili – figuriamoci i riversamenti di petrolio in mare – su questo importante quanto delicato ecosistema.
La loro perdita di biodiversità è ormai un grido di allarme unanime di tutti i movimenti ambientalisti.
Le conseguenze dei riversamenti di petrolio in mare sulla fauna marina
I pesci, per istinto, si allontanano dalle macchie di petrolio, ma molti di loro vengono ugualmente contaminati. La sorte più triste, tuttavia, la incontrano le loro uova, che non possono scappare dal petrolio. Quasi sempre deposte in baie e a bassa profondità, frequentemente non arrivano a dischiudersi.
La stessa cosa avviene per le uova di tartaruga marina, le cui sette specie sono tutte a rischio di estinzione. Anche le tartarughe adulte, infatti, subiscono enormi danni dal petrolio in mare: da ciò che mangiano, respirano e perfino attraverso la pelle.
Cosa significa? Che gli uccelli contaminati sono condannati a morte quasi certa, per ipotermia, annegamento o perché vittime di predatori.
Le misure di contenimento
I riversamenti di petrolio in mare, dovuti a incidenti, si aggiravano a oltre 2 milioni di tonnellate nel 2011.
Pare che successivamente si sia registrato un calo, anche se irrisorio, viste le cifre di partenza.
A cosa è dovuto questo calo?
Al lavoro di organizzazioni (nazionali, internazionali e locali) che, oltre alla tutela dei mari, si occupano della depurazione delle aree contaminate dal petrolio. Cito, a titolo di esempio, Ispra e Port State Control (PSC).
E a misure di contenimento, ossia maggiori controlli e relativi protocolli e normative sulla sicurezza delle petroliere e di quanto trasportano.
Le biotecnologie per distruggere il petrolio in mare
Anni fa si è parlato di una spugna in grado di ripulire il mare dal petrolio. Ma, a oggi, ancora non si sa nulla sulla sua possibile efficacia.
In tempi più recenti le biotecnologie si sono concentrate sui “batteri spazzini”, in grado di “digerire” gli idrocarburi. Peccato che questi batteri non si trovino magicamente nelle aree contaminate. E, importandoli, non è detto che sopravvivano al nuovo habitat.
Per ovviare al problema, sono stati modificati geneticamente alcuni batteri, inserendo in essi cinque diversi enzimi in grado di distruggere gli idrocarburi. Anche in questo caso, siamo lontani da risultati confortati da prove.
Cerchiamo soluzioni eco-sostenibili, non toppe
C’è qualcosa di malato in un sistema che insiste a basarsi sul petrolio. In un sistema che investe soldi, tempo, risorse umane, nel cercare di mettere toppe alle proprie falle.
Le tecnologie alternative ci sono: concentriamoci su quelle.
E ricordiamoci che gli ecosistemi non sono mai a compartimento stagno: se va in tilt uno di essi, tutto l’equilibrio del pianeta Terra ne risente.
Quindi anche noi.
Claudia Maschio