Il petrolio dello Stato Islamico sembra essere giunto, illegalmente, sino in Italia ed è stato rivenduto al triplo del prezzo iniziale. Quella che sino ad ora è una intuizione investigativa, difficile da convalidare, in poco tempo si sta trasformando in una realtà ben consolidata.
Le indagini sono state avviate dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza che da febbraio sta redigendo un report sul terrorismo islamico: all’interno del documento si ipotizza che le zone, da cui si estrae il petrolio da importare nelle raffinerie presenti in Italia, siano controllate da alcune organizzazioni terroristiche. Allora bloccare ogni tentativo di frode nel settore petrolifero diventa di fondamentale importanza per indebolire economicamente lo Stato Islamico e il terrorismo che ne consegue.
Inizialmente l’ipotesi investigativa prevede che le bettoline cisterna, partite di nascosto dalla Libia, e le petroliere salpate dalla Turchia spariscano misteriosamente quando si trovano a sessanta miglia a sud di Malta, all’interno delle acque internazionali: ciò è possibile grazie allo spegnimento dei transponder di bordo che permettono di rintracciarle.
Dopo aver creato questa sorta di “mantello dell’invisibilità”, le bettoline sversano il greggio giunto illegalmente nelle cisterne e si allontanano velocemente. Riaccendono il satellitare solo quando si trovano in prossimità della Libia mentre la petroliera è già giunta in Sicilia o a Marsiglia.
L’indagine, nata dalla stretta collaborazione tra la Guardia di Finanza e una procura siciliana, ha individuato le società di brokeraggio che si occupano del trasporto e della vendita del greggio alle più importanti compagnie mondiali. Nonostante siano nate da pochi mesi, già fatturano milioni di euro che gli permettono sia di guadagnare che di sostenere economicamente il “mercato nero del greggio”. Inoltre, queste società si occupano di rendere la loro attività apparentemente legale attraverso la falsificazione dei documenti di viaggio.
La provenienza del petrolio è stata rintracciata grazie a delle analisi effettuate su dei campioni acquisiti da diverse raffinerie italiane, rilevando alcune tracce compatibili con il petrolio libico e siriano. Questa scoperta andava, di fatto, a contraddire quello che veniva attestato nei documenti falsificati.
Indipendentemente dalla rotta, l’unica certezza è che il petrolio giunge illegalmente sino in Tunisia, Malta, Turchia e Italia; dato che è stato confermato dagli ispettori dell’Onu durante l’ultima risoluzione, anche se in generale non vi sono le prove certe che tra gli intermediari, siano coinvolti gruppi fondamentalisti.
Oltre che per il peso economico, il petrolio viene tenuto sotto controllo anche perché rappresenta il trait d’union tra terrorismo islamico e criminalità organizzata: entrambi, oltre che con la droga, lucrano illegalmente anche con il cosiddetto oro nero.
Grazie ad alcune indagini avviate in Puglia e Venezia, si è notato come Cosa Nostra adotta uno schema ben rodato per lucrare sul petrolio: si creano società di copertura all’estero, con scopo sociale la vendita di benzina; mentendo, si qualificano come esportatori abituali e dopo aver venduto il greggio direttamente ai distributori di benzina, a prezzi molto più bassi, chiudono le società. In questo modo, fa presente Andrea Rossetti ovvero il presidente di Assopetroli: “Raggiungono due obiettivi perché evadono l’Iva e riciclano denaro: due miliardi lo scorso anno in Italia”.
Le risorse naturali rappresentano l’unico fonte economica dell’Isis e per tale motivo ampliano e rafforzano la rivendita illegale all’estero: guadagnando di più, rispetto a ciò che ricavano dalla vendita vicino al luogo di produzione, aumentano di conseguenza le risorse a disposizione per le loro attività terroristiche.
Dorotea Di Grazia