In Perù, nella Valle del Tambo, è riesplosa la rivolta contro l’avvio del progetto minerario di Tía María. La popolazione locale si era già opposta alla costruzione della miniera di rame nel 2011 e nel 2015, quando gli scontri con la polizia causarono 7 morti.
Le principali preoccupazioni riguardano l’inquinamento del fiume Tambo, che gli agricoltori utilizzano per irrigare i campi. Secondo gli esperti, durante l’attività estrattiva verrà perforata e contaminata la falda acquifera sotto la futura miniera, le cui acque sono collegate al fiume. Lo scavo a cielo aperto faciliterà la dispersione nell’aria polveri inquinanti, che non solo produrranno piogge acide, ma potranno direttamente raggiungere i campi e il fiume stesso, per un’area di centinaia di chilometri.
L’approvazione del progetto è arrivata la settimana scorsa, nonostante il presidente del Perù Martin Vizcarra avesse dichiarato in precedenza che non avrebbe “imposto” il progetto alle comunità locali.
Quando si è palesato che i lavori sarebbero cominciati, la valle è entrata in subbuglio. Il 9 luglio, in un’assemblea nella piazza della cittadina di Cocachacra, gli amministratori locali, i sindacati, gli agricoltori e gli abitanti hanno deciso di dare vita ad uno sciopero ad oltranza a partire da lunedì 15 luglio. Per assicurarsi la partecipazione di tutta la popolazione, dallo stesso giorno è stata sospesa l’attività didattica in 75 scuole della provincia di Islay, dove si stanno svolgendo le proteste. Da lunedì, i manifestanti, cui si sono uniti sindacati e associazioni giunti nella provincia da Arequipa, marceranno per i vari distretti, mentre sono già stati mandati sul luogo circa 400 poliziotti.
Dietro la costruzione della miniera di rame, che costerà 1,4 miliardi di dollari, c’è la Southern Copper Corporation, una multinazionale con sede a Phoenix in Arizona, che opera già nelle miniere di Toquepala e Cuajone sulla Ande peruviane.
L’apertura di Tía María incrementerà di 120.000 tonnellate la produzione totale annua di rame dell’azienda in quello che, secondo il ministro Carlos Oliva, è un progetto chiave per l’economia nazionale. In effetti, il Perù è il secondo produttore di rame al mondo, e negli ultimi quattro anni ha raddoppiato la produzione del metallo. Tuttavia, è molto probabile che gli agricoltori e gli abitanti della Valle del Tambo abbiano tutte le ragioni a non fidarsi dell’azienda di Phoenix, il cui simpatico motto è “Copper here, there and everywhere”.
La Southern Copper Corp. è controllata dalla holding messicana Grupo México, il più grande gruppo minerario del Messico, proprietà del secondo uomo più ricco del paese, Germán Larrea Mota-Velasco. Ma il record più importante dell’azienda è quello di aver causato il più grande disastro ecologico della storia del Messico. Nel 2014, Buenavista del Cobre, una società controllata da Grupo México, versò 40.000 metri cubi di solfato di rame e metalli pesanti nei fiumi Sonora e Bacanuchi con effetti disastrosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti. Inoltre, nel 2006, nella miniera di carbone di Coahuila, di proprietà della Industrial Minera México, sempre controllata da GM, un’esplosione di metano costò la vita a 65 minatori.
La pericolosità ambientale del progetto è più che evidente, benché il ministro dell’Energia e delle Miniere del Perù, Francisco Ísmodes, abbia lasciato intendere che l’opposizione alla miniera sia dovuta a posizioni politiche e ideologiche.
È difficile prevedere se gli abitanti della Valle del Tambo riusciranno a bloccare l’opera, ma al momento la determinazione non manca. Rispondendo alla decisione del presidente Vizcarra di autorizzare i lavori di Tía María, Elmer Cáceres Llica, il governatore della regione di Arequipa, ha espresso parole inequivocabili: “ Voglio dire al presidente che si assuma le sue responsabilità, se si avranno scioperi si avranno morti, si avranno feriti e si darà la colpa all’esecutivo”. “Arequipa mantiene una posizione forte, dura”, ha detto Cáceres, “e credo che il presidente della repubblica sia stato avvertito”.
Francesco Salmeri