“Nella tua vita conoscerai parecchi imbecilli. Se ti daranno dei dispiaceri, pensa che è la loro stupidità che li induce a farti soffrire. Questo ti eviterà di ripagarli con la stessa moneta. Perché non c’è nulla di peggio a questo mondo che il rancore e la vendetta… cerca di mantenerti sempre onesta e degna di te stessa”.
Queste sono le parole che Marjane Satrapi, autrice del fumetto iraniano “Persepolis”, sente rivolgersi dalla nonna il giorno in cui, all’età di quattordici anni, lascia l’Iran a causa del teso clima politico.
In esse si può cogliere la parabola di un paese che ha vissuto l’orrore della guerra ma anche la dignità di un popolo la cui storia è fatta di civilizzazione e riconoscimento dei primi diritti umani.
La lettura di “Persepolis”, dal contenuto estremamente attuale, rappresenta un interessante spunto di riflessione sugli sconvolgimenti, ad oggi, in atto nel mondo e sulla necessità, soprattutto, di continuare a lottare per mantenere vive le conquiste, sia sociali sia politiche, raggiunte. Il racconto, infatti, evidenzia come le idee radicali e gli interessi, di pochi, possano rappresentare una costante minaccia al concetto di democrazia.
La forza delle immagini in bianco e nero tracciano l’autobiografia di una giovane iraniana, la stessa Marjane, il cui sguardo è costantemente rivolto alla propria terra natale.
La magia rievocata da tali immagini, infatti, narra le tappe della vita dell’autrice, dall’infanzia felice, vissuta in una famiglia progressista, all’avvento del regime islamista ulteriormente aggravato dagli orrori della guerra del Golfo (1980 – 1988).
In tal modo Marjane delinea e descrive la brusca involuzione che il paese vive.
Il fumetto inizia con l’immagine che meglio descrive e rende palpabile il segno del cambiamento in atto: l’imposizione del “foulard” (chador) per le donne. Infatti il regime sostiene che i “capelli delle donne contengono raggi che eccitano gli uomini”.
Una drammatica forma di sottomissione delle donne all’uomo, a cui, in maniera diversa, ma non migliore, anche noi occidentali ci troviamo a fare i conti considerati gli innumerevoli casi di femminicidio.
Inoltre, la stratificazione delle relazioni tra le persone, a seconda dell’appartenenza alle classi sociali, ma anche le restrizioni nella vita quotidiana, evidenziano l’inizio di un processo di imbarbarimento del paese e di violenza.
Racconta Marjane: “eravamo scese in piazza il giorno in cui non si doveva: il venerdì nero. Quel giorno c’erano stati così tanti morti in un altro quartiere della città che correva voce che i responsabili della carneficina fossero i soldati israeliani. Ma in realtà erano i nostri che ce le avevano date”.
Inevitabili, infatti, le sanguinose repressioni da parte del regime contro un popolo abituato a vivere secondo standard più occidentali.
Il panorama di terrore convince i genitori di Marjane a mandarla in Austria.
L’Europa degli anni 80 e le minuscole problematiche dei suoi coetanei la lasciano interdetta. Ritrova, però, una dimensione diversa, che, nonostante le difficoltà, le permette di sviluppare nuovi rapporti sociali, allontanandosi dall’oppressione della guerra.
Tale processo di integrazione, a tratti quasi “forzato”, le provoca la sensazione di allontanarsi dalle sue radici. Quasi a rinnegare il proprio passato. Dice: “Volevo dimenticare tutto, far sparire il mio passato, ma l’inconscio mi riacchiappava”.
Le tornavano alla mente le parole della nonna, risultato di un importante processo educativo: “Sii sempre onesta e coerente con te stessa”.
La conclusione a cui giunge è: “se non ero integrata con me stessa non mi sarei mai potuta integrare”.
Queste parole, altrettanto attuali, descrivono la necessità di un’educazione che permetta ai giovani di riconciliarsi con una serie di “fratture emotive”, parte inevitabile del processo di crescita e maturazione. Ma ricordano anche il tema, tristemente attuale, dei numerosi atti terroristici di questi anni che vedono coinvolti prevalentemente giovani “estremisti”, educati in un contesto di radicalizzazione del tema religioso.
Marjane, infatti, narra come: “i ragazzi venivano reclutati per essere inviati al fronte. In cambio gli si dava una chiave che era la promessa per entrare in Paradiso, dove avrebbero trovato il meglio. Così li eccitavano ad immolarsi per la guerra, rendendoli veri e propri fanatici pronti al massacro”.
Il rientro a Teheran, dopo gli anni trascorsi all’estero, non è facile e la città risulta sempre più paralizzata. Anche il padre le trasmette un senso di amara disillusione.
Nonostante tutto, scopre la propria femminilità e, ben presto, si sposa. Ma dura poco data la giovane età e la sensazione di rinnegare i principi di libertà in cui crede.
Infatti la sempre maggior coscienza sulle condizioni di vita del proprio paese e sulla condizione della donna la portano a cozzare col sistema. Marjane dice: “Perché le donne dovrebbero restare insensibili di fronte agli uomini che portano tagli di capelli alla moda e vestiti stretti, mentre gli uomini dovrebbero eccitarsi per cinque centimetri di velo in meno?”
L’inevitabile processo che la emancipa sempre più, la vede abbandonare definitivamente l’Iran per andare a vivere in Francia.
Turi Ambrogio