Persefone/Kóre, la fanciulla della vita e della morte

Galleria di Luca Giordano, "Ratto di Proserpina" (1682-85).

Anche a chi non è cultore di lettere classiche sarà capitato di sentire la storia di Persefone: la figlia di Demetra rapita da Ade, dio degli inferi, che risale ciclicamente ogni anno sulla terra, a riportare la bella stagione. La vicenda è narrata nell’Inno a Demetra attribuito a Omero (VII-VI sec. a.C.), che spiega il significato dei culti misterici dedicati alla dea e alla figlia a Eleusi, nella regione greca dell’Attica. Approfondire la figura di Persefone porta a considerare aspetti affascinanti della spiritualità antica (solo di quella?).

Kore Adone pìnax Locri
Un “pìnax” ritrovato a Locri: Kore apre la cassa che contiene Adone. Fonte: it.wikipedia.org

Il suo nome contiene le radici di πέρσις (= “distruzione”) e di φονεύω (= “uccidere”). Una perfetta regina dei morti. Ma ha anche un altro nome: Kóre, “vergine”, “figlia”, “novella sposa”. È dunque la fanciulla che muore come tale, per rinascere adulta. È la Natura, che sfiorisce d’inverno per tornare a dare frutti.

 

Gli antichi autori greci la accostano e la contrappongono ad Afrodite: grande divinità dell’amore e del piacere che genera – ma che sa anche essere terribile. Insomma, degna concorrente e collega di Persefone/Kóre. Lo dimostra la vicenda di Adone: il giovane nato dalla corteccia della mirra.




 

“Adone era bello, così bello che Afrodite nascose il bambino appena nato in una cassa e lo consegnò a Persefone perché lo custodisse. La regina degli Inferi aprì la cassa, vide il bel bambino e non volle più restituirlo. […] Il re degli dèi decise che Adone potesse passare una parte dell’anno per conto suo, un’altra parte poteva restare con Persefone e una terza con Afrodite. […] Le feste che celebravano il suo doloroso amore rievocavano il giorno del congiungimento e quello della separazione della dea dell’amore dal suo giovane signore. […] Le donne gli offrivano piccoli «giardini» che facevano crescere rapidamente in cocci di terracotta e in pentole, perché appassissero pure presto. Esse offrivano se stesse agli stranieri nei santuari orientali. Quelle che non lo facevano, sacrificavano i loro capelli ad Adone.” (Károly Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia. Il racconto del mito, la nascita della civiltà, Milano 2009, Il Saggiatore, p. 72).

 

Come la fanciulla/primavera, Adone muore e rinasce. È il seme dalla sorte misteriosa. Appartiene a Persefone e ad Afrodite, le quali – guarda caso – nascono entrambe dall’abisso delle acque. Se la dea dell’amore viene dal mare, la sua “concorrente” preferisce le sorgenti – come Ciane, vicino a Siracusa. Proprio in una grotta nei suoi pressi, sorvegliata dai serpenti che accompagnavano Demetra, Persefone abitava e tesseva la lana: creava un manto con la rappresentazione di tutto l’universo (cfr. K. Kerényi, op. cit., p. 211).

 

Qui, Zeus (secondo i testi antichi collazionati e riassunti da Kerényi) prese forma di serpente e si congiunse con lei. Ne nacque Dioniso: altro dio che muore e risorge, accostato agli animali sacrificali (come testimoniavano le corna del neonato). Per quanto riguarda i serpenti, rimandiamo a ciò che dice Riane Eisler del loro rapporto con la Dea, ne Il Calice e la Spada (1987).

 

Antiche e famose rappresentazioni di Persefone/Kóre sono i pìnakes (= “tavolette”) magnogreci di terracotta rinvenuti a Locri, in Calabria e risalenti al periodo fra il 490 e il 450 a.C. Qui, nel santuario ritrovato alla Mannella, diversi di questi manufatti rappresentano la dea: sul trono accanto allo sposo Ade, nell’atto di ricevere una fanciulla; mentre apre la cassa che contiene Adone; mentre viene rapita. Altri mostrano le ragazze in atto di offrirle la palla, gioco infantile a cui rinunciano per sposarsi; in un’altra, una nubenda ripone il proprio corredo nuziale. Un pìnax rappresenta invece un gallo, animale sacro alla dea (perché annuncia l’aurora e la rinascita?). Questo rafforza l’idea di una Persefone come divinità dei passaggi, in particolare dell’iniziazione alla vita di donna adulta. Per saperne di più: Mario Torelli, Dei e artigiani. Archeologie delle colonie greche d’Occidente, Roma-Bari 2011, Laterza, pp. 77-122.

 

Un’interessante lettura contemporanea della figura di Kóre si trova invece nel classico di Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi (1992): opera che risente della psicanalisi junghiana. Il passo che stiamo considerando è quello in cui si commenta la fiaba della Donna dai Capelli d’Oro: viveva sola nella foresta; assediata da un pretendente violento, ne fu uccisa; i giunchi nati sulla fossa della fanciulla furono trasformati in flauti e il loro suono denunciò il delitto.

 

“Lei rappresenta una kore, la donna-che-non-si-sposerà-mai. Questo aspetto della psiche femminile rappresenta ciò che si intende tenere per sé sole. È mistico e solitario nel modo giusto, poiché la kore è occupata a selezionare e tessere idee, pensieri e imprese.” (Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi, Milano 2011, Frassinelli, p. 413).

 

Una parte vitale e taciuta della psiche, che è però tanto preziosa da dover rinascere, quando la prepotenza e la paura la soffocano.

 

Erica Gazzoldi

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