Secondo due recenti studi nel corso dell’evoluzione la perdita di geni è stata fondamentale per l’adattamento e la sopravvivenza di alcuni organismi viventi.
Cos’è veramente essenziale?
Erano i primi anni del 2000 quando Cristian Cañestro iniziò a studiare il tunicato Oikopleura, osservando l’assenza di molti geni considerati essenziali per la vita. In particolare, notò la presenza di alcune importanti strutture, ma non dei geni indispensabili al loro sviluppo. Una simile scoperta fece barcollare le preesistenti evidenze scientifiche, portando gli scienziati a cambiare punto di vista: la perdita di geni può favorire l’evoluzione. Tuttavia, le tecniche analitiche dell’epoca non permisero un sequenziamento ampio e dettagliato del genoma, come invece è stato fatto per i due studi (uno spagnolo e uno inglese), pubblicati su “Nature Ecology & Evolution”. Secondo i suddetti, non solo alcuni geni non sono così essenziali, ma anzi la loro perdita aumenterebbe le capacità adattative della specie interessata, favorendone la sopravvivenza.
Perdere, una strategia per sopravvivere
La straordinaria variabilità del mondo vivente è il prodotto di un processo evolutivo lungo e complesso, del quale molti aspetti non sono ancora chiari. Nonostante ciò, i risultati confermano che nelle specie primordiali si è verificata prima un’intensa attività di duplicazione dei geni e poi una graduale riduzione. La suddivisione in diversi phyla avrebbe indirizzato l’evoluzione verso la perdita di geni, accelerando la separazione dagli antenati. In passato, la scomparsa era stata osservata solo nelle specie simbiotiche e parassitiche, nelle quali essa è consequenziale alla possibilità di sfruttare le risorse altrui; oggi, questo fenomeno è documentato in molti phyla animali e vegetali.
Nuovi orizzonti per l’Evo-Devo
Il biologo evolutivo Jordi Paps afferma che “Nell’evoluzione del regno animale ci sono stati periodi in cui la perdita di geni non era associata a periodi di semplificazione morfologica”. Questa scoperta ha aperto nuove prospettive di ricerca nel campo dell’Evo-Devo (Evolutionary Developmental Biology), una moderna disciplina biologica, che studia la struttura e le funzioni del genoma secondo le teorie della biologia evoluzionistica. È curioso constatare che l’eliminazione di geni è un metodo sperimentale già largamente impiegato dai genetisti per studiare le malattie. Infatti, spesso i ricercatori disattivano alcuni geni nelle cavie, per verificarne le reazioni e, di fatto, la disattivazione simula la perdita di geni.
Genetica e ambiente
Diversi meccanismi determinano la perdita di geni, ad esempio le mutazioni distruttive ORF (Open Reading Frame) possono alterare irreversibilmente le informazioni da codificare. In genere, se ciò avviene su geni essenziali per la vita, l’organismo muore e di conseguenza quella specifica mutazione scompare nella popolazione per selezione naturale. Il genoma è però ricco di geni non codificanti, infatti la maggior parte delle perdite avvenute nel tempo non ha avuto conseguenze letali per le popolazioni. Inoltre, è noto che le perdite geniche non sono stocastiche, poiché si osserva una polarizzazione della perdita, a seconda della funzione svolta. Quindi, da un lato le mutazioni sono eventi casuali, dall’altro la perdita di geni è una risposta adattativa al cambiamento ambientale, nonché il risultato di pressioni selettive diverse sulla popolazione.
Pochi, ma buoni
Nel mondo vegetale e animale ci sono molti esempi di organismi che dalla perdita di geni hanno tratto un vantaggio evolutivo. Ad esempio, nella pianta Arabidopsis l’assenza di alcuni complessi codificanti per proteine favorisce la sopravvivenza, aumentandone anche la fitness; invece, nei cetacei (delfini e balene) sono scomparsi ben 85 geni responsabili della sintesi di proteine presenti negli altri mammiferi. Probabilmente, la perdita ha favorito sia l’adattamento all’acqua sia lo sviluppo di un’epidermide più spessa e priva di pelo (eliminazione del gene KLK8).
“Non sempre è brutto perdere”
Constatare che la perdita di geni è spesso un vantaggio evolutivo suscita confusione in molti biologi, ma le evidenze scientifiche parlano chiaro: l’essenzialità di un gene potrebbe non essere eterna. Insomma, i geni sono dei lavoratori precari, per i quali un contratto a tempo indeterminato sarebbe troppo rischioso per la sopravvivenza. Ancora una volta la biologia, a modo suo, ci dà una lezione di vita, suggerendoci l’importanza di sapere perdere.
Carolina Salomoni