Perchè gli stipendi dei parlamentari sono in discussione

La proposta di legge sulla riduzione degli stipendi dei parlamentari dovrà ritornare in commissione Affari Costituzionali per una revisione. Il rinvio è stata deciso il 25 ottobre dalla Camera dei Deputati con 109 voti di scarto ed il voto favorevole dei deputati della maggioranza di governo.

Fonte: ansa.it

Il disegno di legge prevedeva il dimezzamento della parte fissa dello stipendio dei parlamentari, che sarebbe passato da 5 mila a circa 2500 euro netti al mese. Inoltre avrebbe consentito di usufruire della diaria di 3500 euro mensili solo ai residenti fuori Roma, mentre i rimborsi spese (circa 2500 euro al mese) sarebbero stati tutti rendicontati e non più automatici.

Il ddl è stato presentato su proposta del Movimento Cinque Stelle, nato nel 2009 proprio intorno a questa battaglia che ha sempre identificato come punto imprescindibile dei propri programmi elettorali. Dai primi comizi di Beppe Grillo, al “tutti a casa” era sempre affiancata la volontà di agire sugli stipendi dei parlamentari italiani, considerati eccessivi ed irrispettosi in un momento di forte crisi economica.

 

Il peso del referendum

I deputati della maggioranza di governo hanno tacciato di demagogia la proposta pentastellata. Il termine indica un comportamento volto a fare ai cittadini promesse impossibili da mantenere per guadagnare consenso, facendo di solito leva su obiettivi particolarmente deboli e presi di mira dall’opinione pubblica.

Ma la proposte del M5S è portata avanti da anni senza soluzione di continuità ed ha come bersaglio i parlamentari, una categoria non propriamente indifesa. Inoltre il movimento ha fatto una proposta di legge concreta e neanche troppo radicale, se si pensa che lo stipendio di un parlamentare non residente a Roma sarebbe passato da 11mila a 8.500 euro. Un provvedimento per nulla impossibile da applicare, che rende poco credibile la spiegazione della maggioranza.

La campagna referendaria in corso ha avuto sicuramente il suo peso nella decisione del governo di rinviare la proposta. Un’eventuale approvazione del disegno di legge avrebbe rappresentato un’importante vittoria politica del M5S, con conseguenze negative per il fronte del Sì sostenuto dall’esecutivo. Inoltre con il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari perderebbe di significato la riduzione del loro numero e la conseguente riduzione dei costi della politica prevista dalla riforma costituzionale.

Maggioranza e opposizione stanno in altre parole perseguendo, in modi diversi, obiettivi simili e largamente condivisi dall’opinione pubblica. Quello che conta è assicurarsi di poter rivendicare come proprio un risultato in grado di fornire un importante consenso elettorale.

 

Se il problema non è lo stipendio

Lo stipendio dei rappresentanti politici è tuttavia un tema che viene spesso semplificato senza considerare tutti i fattori che lo compongono. Non bisogna dimenticare che la buona retribuzione dei parlamentari si fonda sull’idea che questa permetta loro di esercitare la funzione politica nella massima libertà, senza dover ricorrere ad altre forme di reddito che potrebbero influenzarne l’operato. Inoltre uno stipendio dignitoso mira a liberare dal vincolo economico i cittadini, permettendo a tutti di correre per una carica politica.

L’obiettivo della proposta è quello di ridurre la spesa dello stato italiano per la politica, ma i risultati sarebbero davvero minimi. Questa manovra avrebbe permesso di risparmiare una cifra stimata intorno ai 61 milioni di euro, una percentuale sul Pil irrisoria (0,00…%).

La vera motivazione è la richiesta di una maggiore coerenza ai parlamentari di fronte alle difficoltà economiche dei cittadini, un caposaldo del pensiero politico del M5S. I temi dell’onestà e della trasparenza sono stati decisivi per il successo elettorale del movimento, anche a causa degli scandali che hanno percorso trasversalmente la politica italiana da Tangentopoli in poi. Ma l’equazione stipendio più basso uguale maggiore onestà non regge.

Gli ultimi decenni hanno consolidato l’idea che la classe politica italiana sia per forza mediocre e corrotta e che dunque non meriti retribuzioni tanto alte: se non possiamo avere politici migliori, cerchiamo di farli guadagnare di meno. La verità è che tagliando gli stipendi si potrà risparmiare qualche soldo, ma non si avranno rappresentanti politici più competenti o meno corrotti

 

Stefano Galeotti

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