31 maggio 1972: una telefonata anonima ai Carabinieri causa la morte di 5 uomini. É la notte della Strage di Peteano, un atto terroristico commesso dall’estrema destra in una frazione di Sagrado, Gorizia.
Quel giorno, il 31 maggio 1972, morirono di tre carabinieri e altri rimasero feriti: persero la vita il brigadiere Antonio Ferraro e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni, mentre il tenente Angelo Tagliari e il brigadiere Giuseppe Zazzaro rimasero feriti. A differenza degli attentati terroristici che hanno caratterizzato l’Italia negli Anni di Piombo, la Strage di Peteano non ha avuto luogo in piazze, stazioni o sui treni, ma in una via nascosta, di periferia.
I carabinieri, coinvolti nell’attentato, sono stati attirati nel luogo dell’esplosione: avevano avvistato un veicolo sospetto, e proprio quel veicolo era l’autobomba che li ha uccisi.
La notte del 31 maggio
Nella notte del 31 maggio 1972 alle 22:35 arriva una telefonata anonima al comando dei Carabinieri di Gorizia. Al telefono un uomo segnala la presenza di una macchina, una fiat 500, con dei buchi di proiettile in una via di Peteano, una frazione del comune di Sagrado, a meno di dieci chilometri da Gorizia e Redipuglia.
Dopo meno di un’ora tre auto dei carabinieri arrivano sul posto e i militari decidono di ispezionare il veicolo. Uno di loro, il sottotenente Angelo Tagliari, decide di aprire il cofano, azionando la leva: la deflagrazione è immediata. La leva era infatti agganciata a un detonatore e così la Fiat 500 – carica di esplosivo nel bagagliaio anteriore – è saltata aria.
Il contesto degli Anni di Piombo
Il periodo in cui si svolse questo fatto di sangue si collocava in un delicatissimo contesto storico-politico: qualche settimana prima si erano svolte le elezioni politiche anticipate, che avevano portato Giulio Andreotti a capo del nuovo esecutivo. Il dibattito politico era acceso e si erano verificati molti tentativi di colpo di stato.
Prima di quello di quel fatale 31 maggio ci furono molti altri attentati e stragi di matrice fascista e altrettanto numerose erano le tensioni perpetuate dai gruppi della sinistra extraparlamentare. Sono gli Anni di Piombo, una delle pagine più tristi della nostra storia.
L’indagine per la Strage di Peteano è condotta, ed è una cosa inusuale, da Pino Mingarelli, comandante della Legione Carabinieri di Udine. Per diversi mesi Mingarelli segue una pista infondata, sospettando di alcuni membri del gruppo di Lotta Continua di Trento. Si tratta di un depistaggio e presto quella traccia verrà abbandonata.
Dopo meno di un anno dall’attentato i Carabinieri iniziano a seguire una nuova pista, quella della malavita goriziana. Sei uomini pregiudicati, con piccoli precedenti penali, vengono arrestati. Il loro movente sarebbe la vendetta della delinquenza locale contro i Carabinieri del posto. Ma dopo vari processi e ulteriori indagini, gli imputati vengono assolti.
Per anni le indagini ignorarono i veri colpevoli, focalizzandosi su una varietà di indiziati e imputati che nulla avevano a che fare con il crimine. Nessuno, per anni, avanzò dei sospetti per il gruppo di estrema destra Ordine Nuovo.
La confessione dopo 12 anni dalla strage
Di tutte le stragi fasciste avvenute negli Anni di Piombo, questa è la più singolare per la presenza di un reo confesso. Vincenzo Vinciguerra di Ordine Nuovo, dodici anni dopo l’attentato, ha voluto rendere pubblici i legami tra lo stato e Ordine nuovo assumendosi la responsabilità dei fatti.
Dal 1984 le indagini sono state condotte dal giudice istruttore Felice Casson. Vincenzo Vinciguerra, al momento della confessione, denunciò il coinvolgimento di Giorgio Almirante, segretario del MSI, sostenendo che avesse consegnato un’ingente somma di denaro a Carlo Cicuttini, dirigente del MSI friulano e coautore della strage, perché modificasse la sua voce durante la sua latitanza in Spagna mediante un apposito intervento alle corde vocali.
L’intervento, secondo quanto riportato da Vinciguerra, era stato richiesto perché Cicuttini, oltre ad aver collocato materialmente la bomba assieme a Vinciguerra, era la voce della telefonata anonima che aveva tratto in inganno i carabinieri.
Da quel momento la vicenda giudiziaria di Peteano inizia a complicarsi in modo esponenziale. Gli imputati goriziani accusano i carabinieri e la magistratura di più reati commessi nel corso delle indagini, venendo controdenunciati per calunnia.
L’esito, surreale, fu una serie di assoluzioni: accusati e accusatori – anche a parti invertite – per la giustizia italiana erano tutti innocenti. Le indagini per la strage di Peteano hanno rischiato di incrinare la democrazia.
Furono rinviate a giudizio 18 persone, tra militanti di destra e ufficiali dei carabinieri.
Vincenzo Vinciguerra e Carlo Cicuttini vennero condannati all’ergastolo. Gli ufficiali ritenuti colpevoli di depistaggio (Antonio Chirico, Dino Mingarelli, Giuseppe Napoli e Michele Santoro) furono condannati a pene comprese tra i 3 e i 10 anni e 6 mesi.
Alla fine la sentenza d’appello confermò solo l’ergastolo di Carlo Cicuttini (poiché Vinciguerra non aveva fatto ricorso) assolvendo tutti gli altri imputati ma la Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, annullò con rinvio le assoluzioni di Chirico, Mingarelli e Napoli, confermando invece le altre decisioni .
Nel nuovo processo fu accertato il depistaggio dei tre ufficiali, condannati a 3 anni e 1 mese (Giuseppe Napoli) e a 3 anni e 10 mesi (Antonio Chirico e Dino Mingarelli), condanne diventate definitive nel 1992.
Dopo dodici anni caratterizzati da depistaggi, processi costruiti ad hoc, occultamenti e fabbricazioni di prove, è arrivata un’assunzione di responsabilità sull’esecuzione. Questi chiarimenti hanno portato, per la prima volta, luce sull’accaduto, e svelato una realtà inquietante fatti di rapporti e legami segreti tra gli apparati dello Stato e l’universo dell’eversione neofascista.
Ludovica Amico