Da più di vent’anni – e probabilmente ancora per molto – i fan e i critici cinematografici hanno speculato sui potenziali significati di Matrix, uno dei film di fantascienza più importanti di tutti i tempi. Una di queste teorie è stata definitivamente confermata dalla co-regista e sceneggiatrice Lilly Wachowsky: Matrix è una metafora dell’essere transgender. Un’allegoria dell’esperienza di una persona che non si riconosce nel proprio sesso biologico.
«Sono felice che sia venuto fuori. Era l’intenzione originale, ma il mondo non era ancora pronto. O meglio, le case di produzione non lo erano» ha detto la regista in Disclosure, documentario sulla rappresentazione delle persone transgender nel cinema, disponibile su Netflix.
Diversi critici avevano già intuito e sostenuto questa interpretazione fin dal 2012, quando la regista Lana Wachowski ha fatto pubblicamente coming out come donna trans, seguita da sua sorella Lilly nel 2016.
La transessualità delle registe, anche se “postuma” al film, si lega a esso. Essere trans non è una scelta, bensì una condizione esistenziale che bisogna riconoscere e accettare al fine di emanciparsi. Proprio come Neo che decide di conoscere l’autentica essenza della realtà e di affrontarla, per quanto dura possa essere la resistenza a un sistema imposto.
Tutta la storia di Matrix è la rappresentazione del mito della caverna di Platone, secondo cui la realtà percepita è soltanto un’immagine parziale e distorta del mondo reale. Come l’uomo che esce dal buio della caverna, anche noi adesso possiamo riuscire a cogliere quel “qualcosa di più” che Matrix ci ha messo sotto gli occhi .
Alla luce di questa nuova prospettiva, ci è tutto molto più chiaro.
Perchè Matrix è una metafora dell’essere transgender
LA TRAMA
La doppia vita del protagonista Thomas Anderson (è un hacker di notte), il suo nome scelto (Neo), la sua sensazione vaga ma esasperante che qualcosa non va nel mondo. “Una scheggia nella tua mente”, come la definisce Morpheus. Neo ha la disforia, la Matrice è il binarismo di genere e gli agenti che gli danno la caccia, la transfobia.
LA PILLOLA ROSSA
È soprattutto la pillola rossa, simbolo del film e strumento grazie a cui Neo riesce a uscire dal sistema che vuole controllare la sua identità, a mostrare l’allegoria. Lo spiega la scrittrice Andrea Long Chu:
«E poi c’è la pillola rossa: più che una metafora della terapia ormonale, è un ormone vero e proprio. […] Negli anni Novanta il farmaco a base di estrogeni che si acquistava dietro prescrizione medica era effettivamente rosso: la compressa di Premarin da 0.625 mg, prodotta dall’urina di giumente incinte, è di un morbido color granata tendente al cioccolato.»
«CONOSCI TE STESSO»
Significativa è la scena in cui l’Oracolo parla al protagonista della frase che campeggia su un pannello di legno “Temet Nosce”:
«Sai cosa dice quella scritta? “Conosci te stesso”. Voglio confidarti un piccolo segreto: essere l’Eletto è come essere innamorato. Nessuno può dire se sei innamorato, lo sai solo tu. Te ne accorgi per istinto».
La stessa cosa si può dire dell’essere transgender.
L’AGENTE SWITCH
Il personaggio di Switch (dall’inglese switch “scambio, cambiamento”), un membro della resistenza guidata da Morpheus, nella versione originale della sceneggiatura avrebbe dovuto essere un transgender, un uomo nel mondo reale e donna in Matrix. Le Wachowski hanno poi rinunciato all’idea e optato di rappresentare l’agente Switch come una donna con uno stile androgino.
MR. ANDERSON
È stata la studiosa e programmatrice Eleanor Lockhart a notare come l’agente Smith, il principale antagonista del film è l’unico a chiamare Neo «Mr. Anderson» con un’enfasi particolare sul «Mister». Una dinamica subita continuamente dalle persone trasngender da parte di chi, ottusamente, non accetta la loro identità.
LA SCENA FINALE
Nella scena finale del film si vedono delle linee di codice e l’immagine si ingrandisce in corrispondenza della scritta “SYSTEM FAILURE” (“ERRORE DI SISTEMA”). Mentre voce di Neo dice «So che avete paura di noi, paura di cambiare», ci si avvicina sempre di più al centro della scritta in cui viene evidenziato lo spazio tra le lettere “M” e “F”. Lo spazio vuoto tra le lettere sarebbe lo spazio oltre il binarismo di genere, oltre “M”, “maschio”, e “F”, “femmina”.
Matrix fu presentato il 24 marzo 1999, vinse quattro Oscar e fu il quarto film dell’anno per incassi, ma la sua importanza và ben al di là di questi risultati.
Matrix ha lasciato un segno indelebile nel cinema e nella cultura pop, intesa come modo in cui vestiamo, parliamo e pensiamo. Il film possiede in sé i germi di quello che è il pensiero contemporaneo, anticipandolo e influenzandolo allo stesso tempo.
La vera forza di Matrix è proprio la lettura su più livelli: può essere contemporaneamente considerato un ottimo film d’azione fantascientifico, un trattato postmoderno filo-socio-teologico e adesso anche una rappresentazione cinematografica dell’essere transgender.
Ancora oggi l’eredità culturale di Matrix non si è per nulla esaurita.
Doriana Bruccoleri