Come molti amanti della letteratura, Italo Calvino già nel 1981 si poneva un problema spinoso: “Perché leggere i classici, quando c’è molto altro di interessante da leggere e da fare?”. In dialogo con un suo celebre articolo sul tema, abbiamo provato a fornire la nostra risposta.
Ogni insegnante di lettere, ogni libraio, ogni lettore colto e vorace si sarà sentito porre questa domanda almeno una volta: “perché leggere i classici?”.
A essa nel 1981 Italo Calvino offriva una risposta pubblicando su L’Espresso un articolo intitolato «Italiani, vi esorto ai classici» – qui il testo completo. Per chiarire perché leggere i classici sia meglio che non leggerli, Calvino anzitutto problematizzava la nozione di “classico”, precisando:
uso il termine “classico” senza fare distinzioni di antichità, di stile, d’autorità. Quello che distingue il classico nel discorso che sto facendo è forse solo un effetto di risonanza. Questo vale tanto per un’opera antica che per una moderna ma con già un suo posto in una continuità culturale.
Lo scrittore, in altre parole, non cercava una definizione tecnica di libro o autore classico. Cercava, invece, una definizione ‘esistenzialmente densa’, capace di comprendere l’effetto che certi libri hanno su di noi.
L’assunto fondamentale di Calvino è che un classico funziona come tale se e solo se riesce a stabilire un rapporto personale con chi lo legge.
Non a caso, dunque, il rapporto lettore-testo che emerge dalle quattordici definizioni proposte nell’articolo risulta una questione d’identità molto più che di piacere estetico. Per dirlo con le parole dell’autore,
il “tuo” classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
Attenzione: il rapporto con un classico non deve per forza essere un rapporto d’amore, anzi, può risultare fortemente conflittuale. Un classico, per chi ne fa il filtro attraverso il quale interpretare il mondo, può configurarsi «come l’equivalente dell’universo, al pari degli antichi talismani». Ma può anche essere il rispettato nemico contro cui si combatte un corpo a corpo ideologico feroce. Tanto nel primo quanto nel secondo caso, comunque, è vero che
un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
Leggere i classici può essere un obbligo?
Su questo punto Calvino è categorico:
Non si leggono i classici per dovere o per rispetto, ma solo per amore.
Esiste però un’importante eccezione: la scuola. Infatti, secondo l’autore essa deve fornire gli strumenti per esercitare le proprie scelte. Rispetto ai classici, facendone conoscere un certo numero in riferimento ai quali, poi, scoprire i propri.
Inoltre, nota Calvino, con i classici letti sui banchi di scuola avviene spesso qualcosa di molto particolare. Cioè, anche se ci si dimentica completamente l’opera, essa getta un seme dal quale germogliano modelli, scale valoriali, categorie per le esperienze future. Nel rileggerli da adulti, così, si finisce per riscoprire in essi la genesi di alcuni meccanismi interiori ormai radicati in noi. Di conseguenza, i classici sono libri che riescono a esercitare un’influenza anche
quando si nascondono nelle pieghe della memoria, mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
Ma, allora, che cos’è un ‘classico’?
Nel suo articolo Calvino non fornisce una risposta netta a questa domanda. Procedendo per associazione d’idee, in modo quasi aporetico, lo scrittore lascia intravvedere il profilo di ciò che è un classico senza svelarlo. Noi possiamo azzardare un’ipotesi basandoci sull’implicito. Un classico, forse, è anzitutto un libro che contiene in sé abbastanza vita da poter dialogare con una pluralità vastissima di esperienze. Un classico è un libro che può parlare al vissuto di chiunque, problematizzando o mostrando un punto di vista, offrendo conforto, facendo entusiasmare o arrabbiare. Come osserva Calvino,
non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo (o creduto di sapere) ma non sapevamo che si collegasse a lui in modo particolare. E anche questa è una sorpresa che dà molta soddisfazione, come sempre la scoperta di una origine, di una relazione, di una appartenenza.
Un classico, cioè, è un libro che, mettendoci in relazione con altri e con altro, ci fa sentire parte di qualcosa. Di una realtà che ci eccede senza soffocarci, perché siamo esseri capaci di creare e cogliere significati.
«Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo il nostro tempo?»
Italo Calvino se lo chiedeva già quasi quarant’anni fa, ammettendo con candore:
leggere i classici sembra in contraddizione col nostro ritmo di vita, che non conosce i tempi lunghi, il respiro dell’otium umanistico.
Di leggere i classici non abbiamo tempo. Oggi che ogni aspetto del vivere sembra subordinato al garantire possibilità economico-produttive ancor meno di quando Calvino scriveva. Dunque perché leggere i classici, oggi?
Si potrebbe rispondere, anzitutto, che nella vita serve anche – talvolta soprattutto – ciò che non si subordina a uno scopo immediato. Ciò che ci fa assaporare, come ama ricordare Pepe Mujica, la libertà e la gratuità del coltivare una passione. Prima ancora di questa ragione, però, a parere di chi scrive se ne contano almeno due.
La prima ragione è che i classici insegnano, se non ad amarle, quantomeno a rispettare le parole. Cioè a comprendere che esse afferrano in qualche modo la realtà, la evocano, la trasformano. Così, i classici vanno letti – anche e soprattutto a scuola – in quanto potenti strumenti contro l’impoverimento contemporaneo del lessico e del pensiero. Rappresentando la complessità del reale, essi chiariscono l’esigenza di nominarla andando oltre una manciata di termini intercambiabili e insapori. Non solo. Veicolando la complessità del reale, i classici ci ricordano che muoverci al suo interno comporta una serie di scelte. Oggi, se ci si interroga di moralità si è quasi automaticamente accusati di moralismo ovunque, tranne che tra le pagine di un libro. È per questo che il romanziere Javier Cercas afferma che la grande letteratura
è uno strumento di indagine esistenziale, un utensile per la conoscenza di ciò che è umano.
Alla domanda “Perché leggere i classici, oggi?” pertanto, dialogando ancora con Calvino finiremo per dare una risposta saccente, boriosa e vera. Perché farlo rischia seriamente di renderci persone migliori.
Valeria Meazza