Perché non riusciamo fare a meno delle canzoni di Natale?

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Dalla metà di novembre alla fine delle feste siamo immersi nell’atmosfera natalizia e nella sua colonna sonora. Da quelle più tradizionali a quelle più commerciali, le canzoni di Natale sono ovunque: negozi, sale d’attesa, strade, mezzi di trasporto, social, televisioni… Non si possono schivare ma, soprattutto, la maggior parte di noi le aspetta con trepidazione per canticchiarle senza sosta durante tutto il periodo natalizio.

AVVERTENZA: per la lettura di questo articolo è consigliato mettere in sottofondo le proprie canzoni di Natale preferite. Perché sì, tutti ne abbiamo almeno una.

Canzoni di Natale: da inni religiosi a business milionari

Da sempre e in tutte le culture la musica è associata alle feste e alle celebrazioni di ogni tipo perché, si sa, offre innalzamento spirituale e, al contempo, coinvolgimento emotivo. In ambito religioso, quindi, cantare è uno dei modi più elevati per pregare. Il cristianesimo non esula da questo connubio e il Natale, pertanto, sin da quando esiste, è accompagnato da inni sacri e religiosi. Con il tempo, poi, sono nate molte canzoni popolari che si riallacciano alle tradizioni e che vengono tramandate da una generazione all’altra.

Oggi, a tutto questo, si aggiunge il business: le canzoni di Natale sono ovunque, ci circondano, ci avvolgono e fanno parte del panorama urbano al pari delle luminarie e dei bambini con i cappelli da elfo. E, incredibile, i brani che ascoltiamo sono sempre gli stessi.

Forse stupirà scoprirlo, ma la maggior parte delle canzoni di Natale che vanno tanto di moda risalgono al secolo scorso. E non agli anni ’90 ma addirittura al periodo compreso tra gli anni ’40 e l’inizio degli anni ’70. Solo a titolo esemplificativo: White Christmas, una delle canzoni di Natale più famose di sempre e tra le più ascoltate ancora oggi, è stata pubblicata nel 1940.

Ma perché le canzoni di Natale ci piacciono così tanto?

Come è stato osservato, l’attuale canone delle canzoni di Natale è composto da brani che risalgono ad almeno 30 anni fa (la famosissima All I want for Christmas is you compirà proprio 30 anni il prossimo Natale). E alla base del loro successo ci sono anche motivi psicologici.

Tutta la musica stimola i centri del piacere, ma niente come la musica di Natale ha il potere di evocare momenti piacevoli della propria vita e, soprattutto, della propria infanzia. In particolare, la musica e gli eventi autobiografici vengono elaborati da alcune regioni sovrapposte della corteccia prefrontale mediale del cervello. Niente di più facile, quindi, che associare a Jingle Bells un magico pomeriggio della nostra infanzia passato a infornare biscotti assieme alla nonna.

Il sentimento che evoca una canzone natalizia, dunque, è di piacevole nostalgia. Nostalgia a cui sono legati bei ricordi: ricordi capaci si strapparci un sorriso quando affiorano alla mente.

La ricetta per una perfetta canzone di natale



Oltre all’evocazione di tempi passati e alla nostalgia al profumo di cannella, le canzoni di Natale devono avere alcune caratteristiche precise per entrare nell’olimpo delle più ascoltate (o almeno, questo è quanto emerge da uno studio del Prof. Joe Bennett, musicologo forense del Berklee College of Music):

  1. I testi devono essere brevi e ripetitivi, non particolarmente profondi e nemmeno troppo sensati (gli elenchi di cose piacevoli fanno particolare breccia).
  2. Non possono mancare alcuni temi più che classici: il calore della casa e del caminetto acceso, Babbo Natale, l’amore e l’amore perduto, la neve, il clima di festa e, perché no, la pace nel mondo. E che dire delle campanelle delle renne che trainano la slitta?
  3. La scala sonora deve essere rigorosamente maggiore. Preferibilmente in Do o in Sol. Perché le scale maggiori suggeriscono gioia, mentre con le scale minori ci componi un requiem oppure un brano dalle sonorità einaudiane.
  4. Il ritmo deve essere in 4/4, cioè il ritmo in assoluto più orecchiabile e ballabile. Niente valzer (anche se Silent Night, in italiano Astro del ciel, rappresenta una clamorosa eccezione), e niente strani ritmi sincopati: per quelli rimangono tutti gli altri 11 mesi dell’anno.
  5. Il tempo deve aggirarsi attorno ai 115 battiti al minuto, quindi non eccessivamente incalzante ma nemmeno soporifero. Insomma… un ritmo alla Jingle Bells.

La magia delle Cover

Vuoi pubblicare un album di canzoni di Natale ma non sai da dove iniziare? Niente paura, non c’è niente di meglio che una bella cover. E se non sai proprio a cosa si stia facendo riferimento, prova a pensare alla voce di natale per eccellenza. Sì, proprio lui: Michael Bublè. Il cantante che accompagna ognuno di noi durante tutto il periodo natalizio con la sua voce calda e le sue cover magistralmente composte.

In questo caso, la ricetta è ancora più semplice: prendi un brano classico e lo riarrangi con poche, piccole ma significative modifiche. Il risultato deve soddisfare i gusti musicali contemporanei e, allo stesso tempo, riallacciarsi alla tradizione. Semplice no?

Le cover hanno un successo enorme, soprattutto durante il periodo natalizio, proprio perché riescono a mantenere il giusto equilibrio tra il noto e il nuovo. Tra la sicurezza di ciò che conosciamo e la sorpresa data dalla novità. Questo, per altro, è il meccanismo su cui si fonda l’intera musica pop: destreggiarsi tra pattern conosciuti e predicibili senza però risultare ripetitivi e noiosi. Come spiega Enrico Grassi, neurologo dell’Unità Operativa di Neurologia dell’ospedale di Prato:

“Ogni volta che ascoltiamo una musica ci creiamo un pattern interpretativo ed è il nostro cervello a legare le note che sono isolate come onde sonore nello spazio. Cerchiamo quindi sempre di predire quale sarà la nota successiva a quella che abbiamo appena ascoltato. Quindi se i pattern interpretarvi sono troppo semplici, cioè se noi indoviniamo sempre la nota che viene dopo, la musica ci apparirà sì comprensibile ma anche estremamente noiosa. Se invece i nostri pattern interpretativi sono sempre disattesi, cioè se la nota che noi ascoltiamo è sempre diversa da quella che ci aspettiamo, diventerà molto difficile interpretare il brano.

Quindi è importante bilanciare attentamente e non infrangere troppo le aspettative ma violarle almeno un po’, perché altrimenti il nostro cervello si acquieta oppure si inalbera, non riuscendo a dare un’interpretazione a quello che ascolta”.

In ultimo, poi, è da considerare l’aspetto della ballabilità, data da una combinazione di elementi musicali: tempo, stabilità del ritmo, forza della battuta e regolarità generale del brano. Insomma: una canzone di Natale, per avere successo deve evocare sentimenti di piacevole nostalgia ma anche invitare a muoversi a tempo. Deve indurre al movimento. Movimento che, assieme al canto, è espressione di gioia.

E il Grinch?

Il Grinch è quell’essere che dice di odiare il Natale ma che conosce alla perfezione tutti i canti tradizionali. E come lui, in tanti sono infastiditi e irritati dall’onnipresenza delle canzoni di Natale che, forse più di ogni altra cosa, suggeriscono che sta arrivando un periodo ricco di gioia, che bisogna essere felici, amare il prossimo più che mai, fare rimpatriate con i compagni del liceo e sopportare col sorriso in volto pranzi e cene con parenti che si vedono solo una volta all’anno.

Il fatto è che le canzoni di Natale diventano veri e propri chiodi fissi. Dei motivetti che ci entrano in testa e non se ne vanno più e quindi, per alcuni, possono diventare un vero e proprio tormento.

Come dice il detto, infatti, il troppo stroppia: l’eccesso provoca senso di noia o, peggio, fastidio.

Inoltre, come afferma la dottoressa Ira Hyman, della Western Washington University, il sentimento di nostalgia evocato dalle canzoni di Natale non genera solo piacevole conforto ma, al contrario, può generare anche malinconia e desiderio di un passato che non tornerà. Questi sentimenti negativi vengono poi esasperati proprio dalla costante esposizione alla musica stessa.

Infine, secondo la psicologa Linda Blair le canzoni di Natale sollecitano il nostro cervello e ci ricordano cose che sentiamo di dover fare ma che facciamo controvoglia e che, quindi, ci mettono a disagio.

Arianna Ferioli

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