Perché la moda italiana è un’industria atipica

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La moda italiana si può definire un’industria sui generis: in modo letterale, denota originalità, singolarità e atipicità. Questo perché nelle filiere italiane coesiste sia la dimensione delle abilità artigianali e conoscenze know-how tipiche delle botteghe sia la componente di produzione seriale che utilizza impianti industriali. Due caratteristiche che non troviamo in nessun altro Paese.

Quando le botteghe incontrarono le industrie

La moda in Italia nasce negli anni Cinquanta grazie agli investimenti del piano Marshall, volti a rendere l’Italia un paese più moderno e tecnologico. Sono investimenti dedicati alla trasformazione del tessuto economico italiano, fatto di laboratori artigianali, in un tessuto economico industrializzato. 

Le piccole boutique non corrispondono al concetto di moda italiana riconosciuta nel mondo.  La moda italiana è diventata riconoscibile quando le realtà artigianali sono diventate imprese industriali e hanno messo al centro la produzioni in serie, al taglio. Si parla di un determinato prodotto italiano: il pronto da indossare, pret-à-porter. Dunque, l’essenza della moda italiana è industriale. Al contrario, la moda francese è invece diventata famosa per l’haute couture: un’alta moda fatta di prodotti originali, capi unici, fatti a mano, ma al contempo pratici.

Il distretto industriale è il primo segnale evidente del piano Marshall e consiste nella concentrazione di imprese all’interno di un’area geografica che condividono un bagaglio di conoscenze e una expertise per la lavorazione di un determinato materiale. L’expertise tipica dei distretti deriva dai laboratori artigiani. La caratteristica artigianale è che il prodotto sia unico, realizzabile in piccola serie, con piccole imperfezioni che non ne tangono la qualità. 

Il sistema moda italiano è fatto di piccole imprese, diventate eccellenze difficilmente esportabili. Le imprese del territorio italiano beneficiano di questa expertise che sono proprie del luogo in cui si sono sviluppate, rendendolo un capitale culturale unico nel mondo.

La coniugazione tra creatività e imprenditoria

Non sono solamente le abilità artigianali unite alla produzione seriale che conducono alla realizzazione di un capo finito. Tutti i processi produttivi e i filtri che sono insiti al sistema moda devono tener conto dei saperi culturali. La moda è, infatti, una nicchia all’interno delle industrie culturali che intreccia creatività e business.

Il mondo imprenditoriale fatica a riconoscere il valore culturale intrinseco nella produzione di moda. Negli anni c’è stato un rallentamento della forza innovativa nella moda italiana e una conseguente perdita di creatività all’interno della serialità. Questo è stato dovuto alla difficoltà di integrare i processi organizzativi e gestionali del settore con i caratteri insiti ad una industria culturale.

Nella storia della moda italiana ci sono stati brand che si sono particolarmente distinti, non solo per aver saputo unire artigianalità e serialità, ma anche per aver integrato l’imprenditoria alla creatività, rispettando la natura delle industrie culturali.




Esempi italiani di tipicità e serialità

Missoni è un marchio leader che si distinse soprattutto nel settore della maglieria, coniugando moda e arte. Missoni si caratterizzò per il patchwork con le righe colorate e il put together, un tipo di lavorazione che mette insieme su maglioni e pull colori e fantasie in un modo unico.

Krizia è un brand torinese che, assieme a Missoni, ha caratterizzato la moda italiana nel mondo ed è un emblematico esempio di questa dualità intrinseca alla moda italiana. Krizia si contraddistinse per l’uso del velluto. Fu proprio questo materiale a renderla celebre: piegò il tessuto secondo l’estetica della moda e lo lavorò per modificarne la qualità, grazie alle expertise sui materiali che possedeva.

Ferragamo, nato come calzolaio, sperimenta i sandali con la zeppa di sughero per mancanza di materiali disponibili pur rispettando la tipicità italiana, in quanto mantenne la stretta relazione con un prodotto toscano apprezzato anche all’estero.

Valentina Volpi

 

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