Il 28 luglio a Tianjin il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ha incontrato una delegazione di nove membri dei talebani, guidata dal capo politico dell’organizzazione, il mullah Abdul Ghani Baradar. Il portavoce del gruppo islamista Mohammad Naeem ha riferito che il colloquio ha riguardato temi politici, economici, di sicurezza e il processo di pace intra-afghano. Ma quali sono gli interessi cinesi in Afghanistan? E come mai la Cina, tradizionalmente poco incline alle ingerenze in stati terzi, si è esposta al dialogo con un interlocutore problematico come i talebani?
Ragioni storiche
La Cina ha più di un motivo per occuparsi dell’Afghanistan, sia da un punto di vista internazionale sia per quanto riguarda la propria stabilità interna. Un colloquio con una delegazione dei talebani, il gruppo fondamentalista islamico emerso dalle scuole coraniche pakistane e afghane negli anni ‘90, non dovrebbe dunque stupire. Non si tratta in ogni caso di una novità assoluta: un incontro, seppure di minore importanza, tra le due parti aveva già avuto luogo a Pechino nel 2019. Ma le radici di questo dialogo sono molto più antiche e risalgono all’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979. In quel periodo i rapporti tra Cina e URSS erano più che tesi e la Repubblica Popolare non perse l’occasione per addestrare, finanziare e armare i mujahidin afghani.
Nel 1982 il presidente cinese Deng Xiaoping fece delle dichiarazioni sull’importanza strategica globale dell’Afghanistan, senza dimenticare che il paese confina con la Cina per 76 km. Ancora oggi si tratta di un punto cruciale.
Un confine turbolento
Il corridoio del Wharkan, una lingua di terra larga tra i 12 e i 60 km e lunga 260 km, è il “passaggio afghano” per entrare in Cina attraverso la regione autonoma dello Xinjiang. Regione tutt’altro che secondaria e fonte di non pochi problemi per la Cina. Lo Xinjiang è infatti il territorio dove risiede, insieme ad altri gruppi etnici, la popolazione uigura di etnia turcofona e religione musulmana. Gli uiguri reclamano l’indipendenza e accusano il governo cinese di violazioni dei diritti umani e genocidio.
Durante l’incontro di luglio il ministro Wang ha chiesto ai talebani di rompere i legami con il movimento indipendentista uiguro (East Turkestan Islamic Movement, ETIM). La Cina ritiene il gruppo responsabile degli attacchi avvenuti nello Xinjiang e una «diretta minaccia» alla propria sicurezza nazionale.
Ecco dunque un primo motivo per cui il dialogo con i talebani risulta di fondamentale importanza per la Cina. La Repubblica Popolare vuole garanzie che l’Afghanistan non venga utilizzato come base per effettuare attacchi terroristici in Cina. Durante l’incontro, i talebani si sono impegnati a rispettare questa richiesta.
Ragioni economiche
Sempre sul fronte interno, sono in gioco anche importanti interessi economici da tutelare. La Cina ha portato avanti investimenti considerevoli in Afghanistan e continua ad avere progetti per il futuro in questo paese. Non ultimo quello di investire 3 miliardi di dollari per sviluppare la miniera di rame di Aynak. Inoltre l’Afghanistan potrebbe rientrare nel progetto della Nuova Via della Seta volto a espandere l’influenza cinese nel commercio, energia e sicurezza in tutta l’Asia arrivando fino all’Africa e all’Europa. Non è escluso che la Cina possa coinvolgere l’Afghanistan nel progetto del Corridoio economico Cina-Pakistan estendendo ulteriormente i suoi interessi nella regione.
L’instabilità del paese ha però bloccato parte di questi investimenti. Ecco perché la Cina ha a cuore una rapida pacificazione dell’Afghanistan e sta investendo risorse diplomatiche in questo scopo. Dal canto loro, i talebani avevano già dichiarato di accogliere con favore investimenti cinesi nel loro territorio.
Ragioni diplomatiche e strategiche
Infine, alcuni analisti hanno sottolineato come la Cina abbia anche ragioni strategiche per dialogare con i talebani. Considerando la rivalità con gli USA, la Cina starebbe approfittando per marcare una differenza con le politiche statunitensi in Afghanistan. Il ritiro delle truppe americane dopo vent’anni, voluto dall’ex-presidente Donald Trump, dovrebbe essere completato entro la fine di agosto. Lo scorso novembre gli USA avevano inoltre rimosso ETIM dalla lista delle organizzazioni terroristiche internazionali, suscitando le critiche della Cina.
Pechino non si è lasciata sfuggire l’occasione per incontrare i talebani, nemici degli USA, né di definire «fallimentare» la gestione americana del conflitto afghano. Ha inoltre ribadito che la cooperazione cinese al processo di pace nel paese non comporterà ingerenze, impegnandosi a non interferire negli affari interni dell’Afghanistan.
Secondo un’analisi del New York Times la visita dei talebani in Cina, accolta «calorosamente», rappresenta finora il loro maggiore successo diplomatico. I talebani stanno tentando di aggiudicarsi il riconoscimento internazionale, mentre continuano a conquistare territori e la situazione appare di giorno in giorno più instabile. Nell’incontro di luglio, la Cina ha definito il gruppo una forza militare e politica fondamentale dell’Afghanistan. Pechino ha aggiunto che auspica che i talebani giochino un ruolo importante nel processo di pacificazione del paese. Il 16 luglio il presidente Xi Jinping ha telefonato al presidente afghano Ashraf Ghani sempre per discutere del processo di pace. Questo dimostrerebbe come la Cina voglia tenersi aperte tutte le strade e rimanere in buoni rapporti con chiunque guiderà il futuro dell’Afghanistan.
Giulia Della Michelina