“Di tutte le cose che gli uomini condividono fra loro, quella che li accomuna più di ogni altra è il fatto che debbano mangiare e bere”, scrisse Simmel. Ma non è tanto il pasto in sé che conta, quanto le conversazioni, i contenuti e la socievolezza che ne derivano dal mangiare assieme a qualcuno.
Georg Simmel, con gli studi sulla sociologia del pasto, fu uno dei primi a superare lo snobismo che c’era attorno al cibo, e lo volle studiare con una particolare attenzione alla socializzazione che ne derivava.
Perchè prima di Simmel nessuno studiò le pratiche alimentari
Gli studiosi, soprattutto sociologi, hanno cominciato a usare cibo come oggetto di studio solo di recente. Una delle ragioni principali di questo snobismo ricade sull’ovvietà del cibo pratiche quotidiane, in quanto è qualcosa che accomuna tutti. Il secondo aspetto, nel cibo c’è una pratica di genere: i pasti erano legati alla sfera domestica (che era considerata solo femminile, dunque era ritenuta meno importante da studiare rispetto alla sfera pubblica, di dominio maschile.
A lungo gli scienziati sociali hanno studiato il cibo in maniera indiretta, ossia come specchio per leggere altre trasformazioni e per indagare altri fenomeni sociali, connessi o implicati negli atti del bere e del mangiare.
Le prime riflessioni sulle pratiche alimentari mettono in luce quattro diverse valenze del cibo: cerimoniale, economica, identitaria ma in particolare socializzante: la quale indica il rinforzo dei legami sociali, anche nelle relazioni di coppia.
Il primo contributo di Simmel
Simmel scrive un saggio nel 1910 intitolato La sociologia del pasto. È il primo contributo, nella storia delle scienze sociali, dedicato all’alimentazione, che tuttavia viene studiata come fatto sociale per analizzare un tema caro a Simmel: la socievolezza.
L’obiettivo di Simmel è studiare la società partendo dall’azione e interazione degli individui. Il cibo è studiato secondo un’analisi indiretta: voleva studiare come la società si inserisce nelle relazioni.
La socievolezza si caratterizza come una forma di sociabilità che vede nello stare insieme il momento nel quale l’individuo abbandona gli impulsi egoistici per avvicinarsi all’altro. Un atto positivo se pensiamo che in questo modo il fare compromessi non pesa più, in quanto si raggiunge il vantaggio dell’interazione con l’altro.
Alcune forme in cui si mostra la socievolezza sono la conversazione borghese (intesa come chiacchierare in sé, ha una funzione di socialità indipendentemente dai contenuti, in quanto si tratta di condividere un pezzo di vita) e il pasto che, così come il nutrirsi, si separa dal suo contenuto.
Conta l’aspetto “inessenziale” del cibo
Mangiare e bere sono funzioni primarie, tanto che gli individui si riuniscono per mangiare anche se non hanno cose in comune. Nel momento in cui viene condiviso il pasto, ciò che conta è il contesto e, quindi, l’aspetto inessenziale del cibo.
Quando invitiamo a cena qualcuno, e quindi quando il pasto è condiviso, quello che conta non è il cibo, ma l’aspetto non tangibile della materia, la forma in cui il cibo viene consumato. Dunque è il contesto che fa passare il cibo in secondo piano. Il pasto è una forma estetica e dipende dalla relazione che si crea in quel momento.
Sono le conversazioni, i contenuti e la socievolezza che ne derivano dal mangiare assieme a qualcuno, che ne contraddistinguono il pasto e lo elevano dall’azione concreta che compiamo.
Valentina Volpi