S’intravede il sogno di un’Europa verde nel discorso della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Torna sul tema della transizione ecologica. E annuncia l’ambizioso obiettivo di ridurre del 55 per cento le emissioni di gas serra entro il 2030. La meta è la completa de-carbonizzazione. Una Europa a zero emissioni entro il 2050, quale impegno assunto con la ratifica dell’Accordo di Parigi del 2015.
Il cambiamento climatico da sempre divide il mondo
Il cambiamento climatico, proprio come sta accadendo oggi con il coronavirus, divide da sempre il mondo in negazionisti, scettici, pessimisti e catastrofisti. Meglio sarebbe invece puntare al realismo. Individuando le tappe necessarie a evitare l’aumento della temperatura media globale. E ammettendo, soprattutto, sconfitte e punti deboli.
Un’ Europa verde è possibile
Dopo la Cina e gli Stati Uniti, l’Unione europea produce il maggior quantitativo di emissioni inquinanti nette ogni anno. A certificarlo l’Eurostat. Negli ultimi quindici anni, l’Ue ha assunto un ruolo da protagonista nella lotta al cambiamento climatico. Rispetto ad alcune delle politiche intraprese per accelerare la transizione ecologica.
Non è un caso che l’Accordo del 2015 sia stato firmato a Parigi. Seppur deludente, per esempio, perché gli impegni assunti dai paesi non sono vincolanti. Resta indiscutibile il contributo dell’Unione europea nel riunire, per la prima volta, 196 paesi attorno a un unico tavolo per discutere di ambiente e di cambiamento climatico.
Se non ci fossero stati i leader europei, infatti, quell’accordo, per quanto imperfetto, non avrebbe mai visto la luce. Neppure dopo il totale disastro del precedente trattato internazionale sul clima, il protocollo di Kyoto del 1997.
Una Europa verde al di là della crisi sanitaria ed economica
L’Unione europea del 2020 è un continente infragilito dalla crisi sanitaria ed economica. Normale chiedersi se il sogno di una Europa verde, descritto dalla presidente von der Leyen, non sia solo il riflesso incondizionato delle pressioni dell’opinione pubblica sui temi ambientali e sul cambiamento climatico. Il movimento dei Friday For Future dimostra una sensibilità su questi temi unica al mondo.
Dinanzi a una diffusa sfiducia nella scienza, l’Unione europea sceglie comunque di puntare sulla transizione ecologica, dando un messaggio ben preciso. Salvaguardare l’ambiente è l’unica chance per le nostre economie affaticate e disorientate. Ecco l’approccio realistico, che nessun altro continente al mondo ha fatto proprio.
L’Europa verde deve prima sanare i propri limiti
Negli ultimi due anni a livello globale si è registrato un netto rialzo delle emissioni inquinanti. In controtendenza l’Unione europea è riuscita a tagliare i gas serra. La Germania, che contribuisce alle emissioni inquinanti per il venti per cento, le ha ridotte del dieci. La metà. Il governo, guidato dalla cancelliera Angela Merkel, ha dato il via libera alla chiusura delle centrali elettriche a carbone entro il 2030. La Germania che, dopo la Polonia, è il primo paese europeo per energia prodotta con il carbone.
Anche l’Italia, che ogni anno contribuisce al dieci per cento del totale dei gas serra in Europa, nel 2019 le ha tagliate del 3,5 per cento. Tra i primi paesi europei a raggiungere la quota dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, (il 23 per cento del totale, dal solare alla geotermia). Quota prevista dalla Direttiva europea 2008.
Nel 2020, infine, in occasione della Giornata Mondiale della Terra, Svezia e Austria chiudono le ultime centrali a carbone. Prima del previsto.
Nel dicembre 2019, dopo un lungo braccio di ferro, il Consiglio europeo, il Parlamento e la Commissione incassano il testo di un regolamento, poco noto ma molto importante, sulla tassonomia delle attività sostenibili. Attività da inserire tra gli investimenti responsabili, indispensabili per convertire l’economia europea nei prossimi anni. Escluso come fonte di energia rinnovabile il nucleare, l’Ue dichiara guerra aperta al carbone. Grazie al Recovery Fund punta a tassarlo (carbon tax) ricavandone del gettito fiscale proprio.
Perché l’Europa possa diventare verde: alcuni dati
Secondo Eurostat, nel 2019 in Europa la riduzione delle emissioni inquinanti non è stata uniforme: i paesi dell’Est e quelli baltici che crescono a ritmi sostenuti hanno disatteso il taglio dei gas serra. Fatta eccezione per la Polonia, la cui economia si basa ancora molto sul carbone – gli altri contribuiscono tra lo 0,3 allo 0,7 per cento all’inquinamento atmosferico del Vecchio Continente. Perché l’Unione europea raggiunga il suo ambizioso obiettivo è indispensabile sin da ora vincolare le risorse al rispetto dell’ambiente e all’adozione di politiche green. Anche al di là del Recovery Fund.
Senza uniformità, infatti, sarà difficile realizzare la transizione ecologica.
Altro tassello fondamentale, la riforma del meccanismo dell’EU ETS (Emissions Trading System europeo)
Oggi le imprese, e persino i paesi, possono scambiarsi le quote di emissioni prodotte ogni anno. Gli Stati meno virtuosi (o i privati meno attenti in termini di investimenti in tecnologia e know how green) possono contare su chi virtuoso lo è stato ed è riuscito a limitare l’impatto sull’ambiente.
Il sogno di una Europa verde è una urgenza, ma anche una visione realista. E richiede lo sforzo, come in Italia, di attuare riforme strutturali. Lo scorso anno l’Ispra (Istituto per l’ambiente) ha lanciato l’allarme sulla burocrazia, che rallenta la chiusura delle ultime centrali elettriche a carbone del paese. A confermarlo anche l’Enel.
Soluzioni e resilienza spettano alla politica, nazionale e sovranazionale. All’economia il compito non facile di reinventare se stessa. Di mettersi in discussione:
«L’economia misura [ancora] la crescita in termini di prodotto interno lordo, senza tenere conto della ‘Natura’».
Spostare le catene del valore e la produzione altrove, con investimenti diretti per sottrarre l’Europa dall’inquinamento, con effetti negativi in un altro angolo del mondo non è più ammissibile.
Come accade oggi con altri problemi – le migrazioni e i diritti – il compromesso non è un’opzione. Non più. Un appello all’Ue, dunque, di triplicare gli sforzi, se è decisa davvero a guidare il mondo nella lotta al cambiamento climatico.
Chiara Colangelo