Lo scorso 3 gennaio l’attivista curda Roya Heshmati, di fronte all’ingresso del tribunale dove era stata convocata per scontare la pena delle 74 frustate a cui era stata condannata con l’accusa di non aver indossato l’hijab, ha detto “no”.
Poco prima dell’esecuzione della sentenza, la donna ha infatti deciso di togliersi nuovamente il velo opponendosi così, con coraggio, all’ennesimo esempio di regime misogino. E con un post diffuso sui social è la stessa Roya a raccontare, in prima persona, la violenza subita:
«La porta di ferro si è aperta cigolando, rivelando una stanza con pareti di cemento. In fondo, un letto dotato di manette e fasce di ferro saldate su entrambi i lati. Il boia inizia a colpirmi con la sua frusta sulla schiena, i fianchi, le cosce, le gambe, ed io smetto di contare i colpi. Mentre lui mi frustava io sottovoce ripetevo “in nome della donna, della vita, della Libertà, abbiamo stracciato le vesti della schiavitù, dopo la notte, boia, arriva l’alba e le fruste diventeranno asce.”
Il giudice mi dice: “Noi non siamo contenti di imporre queste sentenze, ma è la legge e deve essere eseguita.
Mi rifiuto di rispondere.
Lui continua: “Se vuoi vivere in modo diverso, puoi andare all’estero”.
Qui decido di risponderli: “Questo è anche il mio Paese”.
Lui mi risponde: “E’ vero, ma la legge deve essere rispettata”.
Io rispondo: “La legge faccia il suo percorso, e noi continueremo la nostra resistenza».
L’opposizione di Roya è prima di tutto, un’opposizione nei confronti di una Legge che parrebbe ineluttabile. Come se l’inesorabilità di certe leggi fosse un destino sicuro a cui siamo predestinatə. Come se le leggi non fossimo noi a stabilirle, come se, nonostante l’indugio di chi le attua, l’esecuzione di queste fosse imprescindibile e la responsabilità di certe scelte non spettasse anche a noi.
Roya Heshmati: l’Antigone che canta
Leggendo le parole di Roya non riesco a non tremare. Queste parole le conosco a memoria perchè somigliano tanto, fin troppo, a quelle di Antigone.
Il suo coraggio è lo stesso coraggio che spinge l’eroina greca a seppellire il corpo del fratello disertore, sfidando così il volere del suo re e, con lui, quello della “dura legge di Tebe”.
Come Antigone, Roya, consapevole di poter firmare in questo modo la sua stessa condanna a morte, mercoledì scorso ha deciso di combattere, di opporsi, di resistere.
«ANTIGONE: Perché lo fate?
CREONTE: Una mattina mi sono svegliato re di Tebe e Dio sa se desideravo altro nella vita che essere potente…
ANTIGONE: Bisognava dire di “no” allora”
CREONTE: Potevo. Solamente mi sono sentito all’improvviso come un operaio che rifiutava un lavoro. Non mi è sembrato onesto. Ho detto “si”.
ANTIGONE: Bè… tanto peggio per voi. Io non ho detto “si”! Cosa volete che facciano a me la vostra politica, la vostra necessità, le vostre povere storie? Io posso ancora dire “no” a tutto quello che non mi piace. E sono il solo giudice. E voi, con la vostra corona, con le vostre guardie, col vostro armamentario, voi potete solo farmi morire, perché avete detto “si”.
[…]
CREONTE: Mi diverti.
ANTIGONE: No, vi faccio paura. […] Povero Creonte! Con le mie unghie spezzate e piene di terra e i lividi che le tue guardie mi hanno fatto sulle braccia, con la paura che mi torce il ventre, io sono Regina».
(Antigone, Jean Anohuil)
Se la riscrittura dell’Antigone di Jean Anohuil è, da anni, uno dei miei testi del cuore, non è per caso. Diversamente dall’originale, nella versione francese l’autore concede a Creonte una “possibilità di salvezza” che in Sofocle invece viene negata nel modo più assoluto, sin dall’inizio del dramma.
Al Creonte di Anohuil infatti si potrebbe quasi riconoscere un certo tipo di “compassione” e a tratti, il re di Tebe parrebbe essere mosso, in fondo, da una sorta di educata indulgenza, un’apparente predisposizione all’ascolto.
Per un finale diverso
Dell’Antigone, ho sempre amato in modo particolare questa riscrittura, forse perchè nell’adattamento francese Creonte sembrerebbe arrivare quasi a “capire” le ragioni della ragazza, a tratti sembrerebbe persino comprenderla.
Ad ogni rilettura che faccio, Anohuil, in fondo, riesce sempre a farmi sperare in un finale diverso e ogni volta mi ritrovo a pensare che, magari “questa volta” Antigone potrebbe addirittura farcela.
E allora, nella speranza che prima o poi questa salvezza possa arrivare, che prima o poi questo finale possa smettere di essere sempre lo stesso e iniziare davvero a sorprendermi, io quell’esito felice continuo ad aspettarlo.
In ricordo di Mahsa Amini,
per chi ha subito e per chi subisce ogni giorno,
per chi resiste,
per chi lotta,
per chi si oppone,
cantiamo.
Per i diritti di tutte e per Roya che oggi, con addosso i lividi che i boia le hanno fatto, lei è Regina.