Un giorno apparentemente come tanti.
Suonano al citofono :“Siamo amici di Valerio”. “E’ ancora a scuola” risponde la madre Carla. “Possiamo aspettarlo in casa? Vorremmo parlargli. Lui ci conosce”.
Qualche minuto dopo tre ragazzi armati e con il volto coperto fanno irruzione in casa Verbano, al quarto piano di Via Montebianco, 114.
Montesacro, quartiere storicamente di sinistra, sull’immaginaria linea di confine con il quartiere Trieste, appannaggio della destra più estrema.
Sono le 12.44.
Legano ed imbavagliano il padre e la madre ed attendono l’arrivo di Valerio Verbano. Ai genitori dicono che devono solo fare delle domande, vogliono sapere dei nomi.
“Andrà tutto bene, state calmi”, ripete ossessivamente uno di loro mentre li tiene sotto tiro con la pistola. Circa un’ora dopo Valerio Verbano rientra a casa.
Si accorge di ciò che sta succedendo, lotta, cerca di divincolarsi, riesce a disarmare uno degli aggressori, scappa ma nulla può quando un colpo di pistola lo raggiunge alla schiena.
Muore nell’ambulanza che lo trasporta in ospedale.
Tante ipotesi, altrettanti sospetti in una storia che presenta ancora oggi molte zone d’ombra, dove complici silenzi ed omertà si alternano e fanno male più di un colpo di pistola. Pentiti di destra come di sinistra ma ancora nessuna verità processualmente rilevante.
L’omicidio di Valerio Verbano, uno dei più oscuri degli anni di piombo, a distanza di così tanti anni non ha ancora un responsabile, un nome, un volto. Tuttavia fa ancora discutere.
Come era in uso fare nella sinistra extraparlamentare, Valerio Verbano aveva redatto un fascicolo nel quale aveva raccolto scrupolosamente informazioni e fotografie concernenti la destra neofascista romana. Da esso emergevano le collusioni con la malavita organizzata, Banda della Magliana in primis e le (presunte) coperture di non meglio precisati apparati dello Stato.
Valerio Verbano appunta tutto, indirizzi, orari, date, nomi e luoghi con una precisione assoluta.
Il “Dossier Nar”, come venne soprannominato, fu acquisito agli atti nel corso di una perquisizione; tempo dopo scompare misteriosamente dagli archivi. Cosa conteneva davvero di così pericoloso e scomodo?
Di certo nel dossier veniva fatto il nome di Marco Fassoni Accetti, il fotografo superteste sospettato di avere stretti legami con Ortolani, Gelli e la Massoneria, autoaccusatosi di aver avuto un ruolo nella vicenda relativa al sequestro di Manuela Orlandi per conto di un gruppo di ecclesiastici contrapposto a papa Wojtyla.
Ma c’è di più, ci sono anche i nomi di Angelo Izzo e Andrea Ghira, due dei tre responsabili della strage del Circeo e di tanti altri che direttamente o indirettamente sono sospettati di aver partecipato ai delitti ed alle stragi più efferate ed ancora insolute.
Ma non è l’unica anomalia di una vicenda ancora avvolta nel mistero più fitto. Ce n’è un’altra che fa sorgere più di un sospetto. Tecnicamente, non sarebbe stato più facile aspettarlo sotto casa?
Che motivo c’era di salire?
Atteggiamento decisamente inconsueto nonostante il clima di quegli anni. Degno di un’esecuzione in piena regola. E poi, che fine hanno fatto i due passamontagna che durante la colluttazione Valerio riesce a strappare agli aggressori? Tempo dopo si apprende che gli stessi sono stati distrutti. Ma come, distrutta una prova fondamentale ai fini delle indagini??
Lo stesso giorno dell’omicidio arrivano alcune rivendicazioni. La prima è dei Nar (NAR), la sigla di punta dell’estrema destra:
“Abbiamo giustiziato Valerio Verbano mandante dell’omicidio Cecchetti. Il colpo che l’ha ucciso è un calibro 38. Abbiamo lasciato nell’appartamento una calibro 7.65. La polizia l’ha nascosta”.
La rivendicazione viene ritenuta attendibile perché a quell’ora ancora non si conoscono gli esiti dell’esame autoptico.
La seconda è di una formazione di sinistra “Gruppo Proletario Rivoluzionario Armato” che afferma di aver ucciso Verbano perché è una spia, un delatore, un “servo della polizia” anche se dicono “è stato un errore, volevamo solo gambizzarlo”.
Un’ora dopo, verso le 21, arriva una terza rivendicazione dei “Nuclei Armati Rivoluzionari”, “La mano di Thor ha colpito a Montesacro” scrivono nel volantino cui seguiranno alcune smentite ma che viene ritenuta anch’essa attendibile dagli inquirenti. Ciò, anche per smontare un teorema che avrebbe visto una strana quanto improbabile alleanza tra gruppi di destra e sinistra legati allo spaccio di droga per eliminare questo ragazzino che sapeva troppo. Ma chi ha armato quella mano? Quali superiori interessi e responsabilità morali si celano dietro gli esecutori materiali? Forse non lo sapremo mai.
Il nome di Valerio Verbano spunta fuori anche nell’ambito delle indagini sulla strage di Bologna. A parlare è Laura Lauricella, compagna di un personaggio di spicco dell’estrema destra di quel periodo, Egidio Giuliani. La Lauricella fa riferimento a un silenziatore che il Giuliani avrebbe dato all’assassino di Verbano. Quel ragazzo è Roberto Nistri membro di spicco di Terza Posizione. Il giudice Claudio d’Angelo che indaga sull’omicidio Verbano interroga sia Nistri che Giuliani entrambi negano ogni addebito. Il 30 settembre 1982 Walter Sordi, ex terrorista dei Nar pentito, fa nuove rivelazioni sul delitto Verbano. Dice di aver raccolto le confidenze di un altro esponente dei Nar Pasquale Belsito:
“ fu Belsito a dirmi che a suo avviso gli autori dell’omicidio Verbano erano da identificarsi nei fratelli Claudio e Stefano Bracci e in Carminati Massimo”.
Il 25 gennaio 1984 nell’unico interrogatorio a cui è sottoposto, Claudio Bracci nega ogni addebito e smentisce di conoscere Pasquale Belsito. Massimo Carminati rilascia identiche dichiarazioni. Ai pentiti e ai collaboratori si unisce anche Angelo Izzo, detenuto dal 1975, per i fatti del Circeo. Izzo afferma di aver raccolto in carcere le confidenze di Luigi Ciavardini, militante di terza Posizione poi passato a i Nar il quale avrebbe affermato che “l’omicidio era da far risalire a militanti di Terza Posizione e che il mandante era sicuramente Nanni de Angelis” ( accusato di aver posizionato materialmente la bomba alla stazione di Bologna e poi scagionato mentre Ciavardini fu condannato a trent’anni, n.d.r).
Ancora supposizioni, indizi, congetture e sospetti non confermati ma di una verità processualmente rilevante nemmeno l’ombra.
Carla Rina Verbano, la madre, oggi non c’è più e quei suoi grossi occhi neri che ricordavano quelli di Valerio si sono chiusi per sempre ma ha lasciato una forte eredità fatta di “indagini”, colloqui con personaggi di spicco del terrorismo romano non essendosi mai data pace per non aver potuto evitare il peggio.
Giustizia per Valerio era la sua missione. E fino alla fine ha sognato ancora che, un giorno, gli assassini di suo figlio potessero suonare di nuovo alla sua porta e dare una risposta ad un’unica, ossessiva domanda: perché?
Riportiamo, di seguito, alcuni passi tratti da una delle ultime interviste concesse da Carla.
Il dossier che Valerio Verbano aveva realizzato, a tuo avviso, è l’unico motivo che ha portato all’omicidio o c’è dell’altro?
Il dossier non era in casa, non è possibile che non lo sapessero. La polizia aveva comunicato di averlo sequestrato e depositato presso il tribunale. La notizia era stata riportata da televisioni e giornali .Non voglio credere fossero degli sprovveduti. Forse cercavano altro, pensavano di trovare chissà cosa, altri documenti. Tuttavia, posso affermare con assoluta certezza che non c’era nient’altro. Nei giorni successivi alla perquisizione della polizia guardai bene in camera di Valerio Verbano, nei cassetti, nell’armadio, dappertutto.
Hai incontrato Fioravanti e la Mambro. Avevi cercato tu quell’incontro per chiedere chi aveva ucciso tuo figlio. Fioravanti disse di non sapere nulla. Ti sembra possibile che non sappiano nulla?
Non credo. Loro sanno ma proteggono qualcuno. Gli sarà stato detto di non fare nomi ma a me sembra francamente impossibile che non siano a conoscenza dei fatti. Nistri (membro di spicco di Terza Posizione, organizzazione neofascista italiana attiva dal 1976 al 1980, ndr),mi disse di aver fatto 16 anni di reclusione e che non avrebbe mai fatto il nome di nessuno perché in galera si sta male. Già quest’affermazione mi sembra significativa. Altri hanno imputato la responsabilità alla Banda della Magliana. Certo, quando non si sa cosa dire è facile far riferimento sempre alla Banda, no? Può darsi, visto il supposto coinvolgimento in essa dei Nar ma l’unica certezza che ho è che sanno e non parlano. Valerio, evidentemente, avrà pestato i piedi a persone molto in alto, chi lo sa.
Nel 2011 la Procura della Repubblica di Roma decide di riaprire le indagini affermando di aver iscritto due nomi nel registro degli indagati; si tratterebbe di due militanti della destra romana, sconosciuti alle cronache del tempo. Il condizionale è d’obbligo anche per il movente; che dovrebbe essere relativo ad una serie di vendette tra estremisti politici. Tuttavia ancora tante supposizioni ma assolutamente nessuna certezza.
Questo è il nostro Paese, quello delle verità negate, degli omicidi senza nome. Piazza Fontana, Bologna, l’Italicus, Piazza della Loggia, Valerio Verbano!
Carla, però, ha continuato la sua battaglia con rinnovato ottimismo, quello del cuore fino alla fine dei suoi giorni. Ora, a raccoglierne l’eredità morale ci sono tutti coloro che l’hanno sostenuta in questi anni e che reclamano sia fatta luce su un periodo tra i più controversi della nostra storia recente. Viceversa, difficilmente sarà possibile giungere a quella definitiva riconciliazione da più parti auspicata utile a chiudere i conti con il passato.
In un’Italia troppo attenta agli intrighi di palazzo, è dunque necessario recuperare la memoria storica di quegli anni che costituiscono la nostra identità più intima, quel bagaglio culturale che fa di noi, oggi, ciò che siamo.
Ripartire da essa è un dovere cui non ci si può sottrarre.
E’ ora di fare chiarezza, di svelare nomi, situazioni e responsabilità politiche e penali troppo a lungo taciute e di restituire a Valerio Verbano la pace dell’aldilà, senza se e senza ma.