Per Mario Cipollini lo sport non dovrebbe parlare tutte le lingue del mondo?

Ultima VoceCosa significa pensare e vivere “sportivamente”? Mario Cipollini sembra averlo dimenticato!

 

Il Re Leone, così chiamato da tutti gli appassionati di ciclismo per la chioma che caratterizzava il suo look e per l’impressionante potenza con la quale dominava i suoi avversari durante le volate finali, ha recentemente pubblicato una foto su Instagram che lo immortala con un altro grande del ciclismo mondiale, Marco Pantani, durante la presentazione di un Giro d’Italia. Tutto molto bello per chi ricorda con nostalgia i campioni che furono. Ma il pensiero che accompagna l’immagine fa riflettere e scoraggia chi lo sport lo vive per quello che realmente rappresenta, o dovrebbe rappresentare:

 

“Anni fà alla presentazione del Giro D’italia. Si parlava soltanto italiano! A me piaceva molto di più!”.

Tralasciando i gravi errori grammaticali, che in un intervento del genere rappresentano il problema minore, davvero per un campione come Mario Cipollini lo sport è questo? L’analisi che ne deriva non può che essere estremamente triste: se uno sportivo che vanta migliaia di fans, vincitore di un campionato del mondo, più di quaranta tappe nel Giro d’Italia, dodici nel Tour de France e altri svariati premi, si lascia andare a considerazioni del genere, significa che allo sport, ha dato molto in termini di vittorie, ma poco dal punto di vista dei valori umani.

Spirito di squadra, affermazione del merito e competizione, sono solo alcune delle qualità che ogni sportivo dovrebbe far proprie, ma senza la capacità di valorizzare il rapporto con l’avversario e senza il riconoscimento dell’importanza dell’integrazione sociale, a prescindere dal paese di provenienza e dalla lingua parlata, allora si è semplicemente atleti, non sportivi.

L’azzeramento delle differenze sociali e il mescolamento etnico e di classi, dovrebbero rappresentare una delle migliori qualità in ogni attività sportiva, mai un fenomeno da contrastare. Il rischio, sempre più concreto, è quello di cadere nella trappola del “Prima i nostri” anche negli ambienti sportivi. Come se fosse colpa degli altri se il fascino della maglia rosa attiri sempre meno supporter o se la recente crisi della nazionale di calcio sembri raspare in un lungo tunnel senza uscita.

La soluzione dovrebbe risiedere nella preziosa autocritica, e non nell’addossare ad altri colpe che non esistono. Chiediamoci come vengono gestiti i settori giovanili, che dovrebbero rappresentare una piccola comunità formante e non un sistema dettato da discriminazioni e business attorno all’aspirazione di tanti giovani ragazzi.

 “Forse lo sport col suo messaggio di lealtà e di cavalleria, avrà successo dove altre istituzioni hanno fallito”.

A differenza da quanto sostenuto da Avery Brundage, Presidente del Comitato Olimpico Internazionale dal 1952 al 1972, la discriminazione etnica manifestata da Mario Cipollini, ha ben poco di cavalleresco, e rappresenta una chiusura mentale che non può più trovare giustificazioni. La ghettizzazione ci porterà al più totale isolamento, e in questo caso, alla sostituzione del Giro d’Italia col prestigioso giro del quartiere in cui abitiamo.

 

 

Andrea Umbrello

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