Una triste consapevolezza. Amara realtà, ironicamente sintetizzata già da Ficarra e Picone nel film “Andiamo a quel paese”. “Una pensione è per sempre”.
Ma quali diamanti? L’Istat ce lo dice – e l’Inps lo conferma – sono i nonni la vera ricchezza! Porto sicuro, manna dal cielo eppure categoria colpita dalla mannaia della crisi, anche se un po’ meno rispetto ai figli e nipoti. Il primo colpo duro, l’armata dei nonni, lo ha ricevuto ai tempi di Elsa Fornero (ve lo ricordate, quel governo tecnico a guida di Mario Monti?). Fu con lei che i nonni iniziarono a diventare “esodati” e le basi solide della protezione sociale a base familiare iniziarono a scricchiolare. A questo si aggiunse poi l’innalzamento dell’età pensionabile, per cui se da una parte alla pensione non ci si arrivava per un’uscita anticipata dal lavoro, dall’altra è sempre più arduo conquistare l’ambita meta dei “sopraggiunti limiti di età” che garantiscono un vitalizio capace di ammortizzare gli effetti della crisi anche – e soprattutto – a figli e nipoti. Il tutto, ovvio, in un quadro di politiche sociali che definirlo carente è pure eufemistico (ebbene sì, altro fanalino di coda).
Proprio questo, il welfare state che in Italia imbarca acqua più del Titanic, è il motivo per cui sì, esodati o no, i nonni sono oro. Un pensionato in famiglia salva dal rischio povertà, quando non costituisce la sola fonte di reddito. Un nonno o una nonna, pensione o meno, sono il nido “home made” che consente alla mamma precaria di destreggiarsi tra un voucher e l’altro, con la tranquillità – almeno – di sapere il proprio pargolo al riparo, tagliato fuori da asili dalle rette improbabili.
Già ce lo disse l’Istat, un anno fa, quando pubblicò un’indagine sulle condizioni di vita dei pensionati. Ebbene, un anno fa erano 12 milioni e 400 mila le famiglie che hanno scelto di vivere insieme a un nonno. Per oltre la metà di queste famiglie, gli introiti pensionistici hanno rappresentato oltre il 75% del reddito familiare disponibile.
Vogliamo esaltare la figura della nonna in termini di tata? Premesso che, da ricerche già condotte anni fa dall’Università Bocconi di Milano, una mamma lavoratrice aiutata dai nonni ha il 40% di possibilità in più di conciliare famiglia e lavoro (ma questa pare quasi un’ovvietà); ciò che emerge dalla rilevanza di questo aspetto è il gramo investimento del sistema statale in politiche familiari. Parliamo di una media di quattro euro ogni cento destinate al welfare in toto (sanità, pensioni etc). Quattro euro contro dieci-dodici euro di media europea.
In parallelo l’altro binario, quello delle politiche del lavoro. Ad oggi, per quanto si parli di “ripresina”, si preferisce perpetrare lo status quo. Non che prima di voucher e jobs act fosse tutto un fioccare di certezze e posti fissi, per carità. Proprio per questo, per tassi di disoccupazione da capogiro, per le nuove figure – i neet – nate dalla recessione, per un quadro occupazionale ai limiti dell’emergenza, non bisognava di certo giungere a quesiti referendari (che si faranno quando? In primavera? Ed ovviamente, scordatevi l’art. 18!). Occorreva, forse, un cambio di rotta prima.
Ci troviamo con la “pensione per sempre” dei nonni, ma sempre più poveri di prospettive. Ci avrebbero dovuto sostenere con politiche di formazione e inserimento più decisive, anziché supportare maggiormente la dipendenza da pensione. Ecco perché Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, avvisa: la fine della crisi la sente solo una parte del Paese. Ed ha dannatamente ragione!
L’anno appena iniziato si presenta come un anno critico dal punto di vista del lavoro, per questo Alleva – si legge su corriere.it – parla di crescita e investimenti (in capitale fisico, sociale e pubblica amministrazione) come elementi essenziali. Ne servono di più, soprattutto di investimenti in infrastrutture, andando oltre ai vincoli europei. Per crescere e non stare a galla.
Si tratta, dunque, di scegliere se restare attaccati al “palo” della timida ripresina dell’anno scorso (e della pensione per sempre di nonno) o scegliere di prendere il largo, magari sperando in un cambio di rotta nel sistema occupazionale. Del resto, Alleva vede lungo: “non possiamo contare ancora per molto sulla nostra tradizionale rete familiare. Le madri lavoratrici con figli piccoli o giovani senza un lavoro, gli anziani disabili, portano a un restringimento della rete di coloro che possono prendersi cura degli altri. Quindi sono centrali i servizi pubblici che consentano la cura degli anziani e l’accudimento dei piccoli per consentire alle madri di lavorare. Su questo occorre investire, anche allentando, ove possibile, i vincoli di finanza pubblica”.
Alessandra Maria