Nel 1889 viene fondata la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. E’ una associazione volontaria in cui versano una parte della paga i soci, con l’aggiunta di un contributo statale e di un contributo degli imprenditori.
Nel 1919 diventa obbligatoria e conta 12 milioni di associati.
Nel 1933 viene creato dal governo Mussolini “l’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale” (INFPS), che diventerà, nel ’43, “l’Istituto nazionale della previdenza sociale”, Ente di diritto pubblico dotato di personalità giuridica, e a gestione autonoma per garantire la previdenza sociale ai lavoratori. Nasce così il primo vero sistema pensionistico italiano. A carico dell’INFPS, obbligatoria, nasce l’assicurazione contro la vecchiaia, estesa dai dipendenti pubblici a quelli privati.
Il principio è semplice, si basa su una promessa tra generazioni. Io pago con una parte del mio salario la pensione a te che non lavori più, e qualcuno, quando io sarò vecchio, pagherà a me la pensione con una parte del suo salario. Semplice?
No se tutto viene affidato a leggi che ogni anno cambiano le regole del gioco. Quando la somma della pensione da pagare supera la somma dei contributi che si incassano ci troviamo di fronte una “bolla previdenziale”.
E’ questa porta sempre al collasso del sistema. Se alla somma delle pensioni, che sono in realtà la restituzione, a rate, di quanto il lavoratore ha versato nella sua lunga carriera lavorativa, si sommano i costi dello Stato che gestisce il fondo ( costi del personale INPS, indennità a legislatori che si alternano, regali a fasce sociali che danno voti, assistenza sociale etc) ecco che la bolla produrrà il “default”, il fallimento.
Quindi, stando così le cose, non c’è il dubbio che l’INPS fallirà, ma solo il dubbio di quando accadrà. In questa direzione vanno lette le riforme dal retributivo al contributivo e l’allontanamento sempre più in la nel tempo della “concessione” della pensione. Si perché allo stato dei fatti dobbiamo parlare di concessione, perché un diritto certo e basato sui miei versamenti è diventato una possibilità legata alla Fornero di turno che in ossequio a calcoli del momento decide che io a 65 anni non sono considerato anziano.
E con l’aiuto di una azione mass-mediologica mi si vuole convincere che a 75 anni, se voglio, posso saltare la staccionata come nel celebre spot del noto olio, che non era di olive ma era … leggero.
In realtà quello che stiamo creando per adesso è solo un furto intergenerazionale. Per cui per pagare una pensione troppo alta, troppo precoce e troppo slegata dalla somma dei contributi versati a Mario Rossi, stiamo “rubando” la pensione a suo nipote che non la vedrà mai.
Occorre una seria revisione di tutte le pensioni elargite, sotto ogni forma, che oggi pesano sull’INPS per dare la stessa speranza alle generazioni future. E se qualcuno accampa diritti costituzionali acquisiti, occorre una legislazione speciale, che in nome del diritto universale ad avere un dignitosa vecchiaia, vada a rivedere e annullare quei meccanismi, legittimi, ma truffaldini che hanno creato la sperequazione generazionale.
Occorre annullare tutte quelle forme di “regali contributivi” agli imprenditori che, con la scusa di far assumere qualche decina di migliaia di disoccupati, stanno creando un ulteriore buco sulle casse dell’INPS.
Occorre capire che quando arriva la crisi, per primo, bisogna attaccare il mondo dei privilegi e dei privilegiati. Sarebbe meglio che, paradossalmente, a quelli che gridano all’attacco dei diritti acquisiti, si facesse il conto di quanto hanno versato e, detratto quanto hanno già percepito, si desse in unica soluzione l’equivalente del loro credito previdenziale. Costerebbe meno all’INPS e alla collettività.
Il mondo non è nostro, e con lui il diritto a viverci dignitosamente, lo abbiamo in prestito e dovremmo lasciarlo più sano e più bello ai nostri figli.