Il pensiero negativo ripetitivo (repetitive negative thinking, RNT) può essere collegato ad un successivo declino cognitivo e ad un maggior rischio di Alzheimer.
Prima di evidenziare la sussistenza di una eventuale correlazione tra pensiero negativo ripetitivo e Alzheimer, occorre, in primis, chiarire cosa si intende per pensiero negativo ripetitivo.
Nell’ambito delle psicopatologia viene prestata molta attenzione a taluni peculiari processi mentali che si contrassegnano per una certa ripetitività. Con il tempo tale ripetitività può determinare serie ripercussioni sullo stato emotivo e comportamentale della persona.
Le persone che pensano in maniera ripetitiva restano avviluppate all’interno di un circolo vizioso il cui unico esito è continuare a pensare in modo ridondante. Simile modalità di pensiero passivo, talvolta incontrollabile, si pone alla base di differenti emozioni quali l’ansia, la rabbia e la depressione.
Le modalità di pensiero negativo ripetitivo sono:
- il rimuginio (worry), legato all’ansia;
- la ruminazione, legata alla depressione;
- la ruminazione rabbiosa, legata alla rabbia.
Il rimuginio e la ruminazione, per quanto simili come stili di pensiero, non collimano perfettamente. Infatti, il rimuginio è volto a prefigurare alcuni pericoli futuri, mentre la ruminazione è volta a esaminare e capire le ragioni sottese al proprio malessere.
Nella ruminazione rabbiosa, invece, il pensiero ripetitivo si allaccia a un evento accaduto in passato che ha provocato un’emozione di rabbia. A tale ripetuto pensiero consegue l’accrescimento della rabbia nonché l’attuazione di comportamenti vendicativi.
Ebbene, impegnarsi costantemente in schemi di pensiero negativo potrebbe accrescere notevolmente le probabilità di andare incontro a malattie legate alla demenza, tra le quali il morbo di Alzheimer.
A sostenerlo è uno studio condotto dai ricercatori della University College London, pubblicato sulla rivista scientifica Alzheimer & Dementia, che ha preso in considerazione un campione di 360 individui al di sopra dei 55 anni.
La valutazione della funzione cognitiva di queste persone è avvenuta attraverso la misurazione di parametri come la memoria, l’attenzione, la cognizione spaziale e il linguaggio.
Una parte di coloro che hanno preso parte allo studio è stata poi sottoposta ad esami di imaging del cervello (la PET). Tutto il campione analizzato è stato valutato nel tempo, per un totale di 4 anni di osservazione.
Gli scienziati, una volta esaminati i risultati dei test, hanno concluso che le persone che presentavano una maggiore tendenza a ruminare pensieri negativi mostravano un quadro chiaramente peggiore a livello di memoria nonché una maggior quantità di placche cerebrali di beta-amiloide e di proteina tau.
Dunque, secondo i ricercatori, il c.d. pensiero negativo ripetitivo si collega inevitabilmente al successivo declino cognitivo e all’accumulo di proteine cerebrali dannose legate proprio all’Alzheimer.
L’autrice principale dello studio, la dottoressa Natalie Marchant ha detto che “ […] alcuni modelli di pensiero implicati nella depressione e nell’ansia potrebbero essere una delle ragioni sottostanti per cui le persone con questi disturbi hanno maggiori probabilità di sviluppare demenza”.
Pertanto, se ne deduce come il costante pessimismo, quale ininterrotto rimuginare sul passato o la preoccupazione per il futuro, possa essere estremamente nocivo per la salute. Il cervello umano è la macchina più complessa che possa esistere. Basta un piccolo tassello mancante, o anche solo male incastrato, che tutto il meccanismo viene meno.
Annarita Picardi