Edson Arantes do Nascimento, Pelè. Figlio di dio
Ieri è morta la fantasia, la scintilla che mette in moto la passione verso il calcio, il fiore che con la dipartita di Diego Armando Maradona era già appassito per metà. Ci lascia Pelè, sì proprio lui: il sinonimo di calcio. Chi da ragazzino dopo una grande giocata non ha sentito vociare: “Ma chi sei, Pelè?”. Perché essere Pelè significava allungare il dito verso il cielo e toccarlo nell’estasi di un pubblico assente ma le quali voci riecheggiavano nell’animo del fortunato. Come si può descrivere un’icona? Probabilmente riportando alla memoria le statistiche e le parole di chi l’ha vissuta, ma forse le gesta riescono ad entrare a piedi pari nell’immaginario collettivo. E in un mondo, quello calcistico, sempre più prono nei confronti dei numeri e della fredda tattica, la morte di Pelè ricorda a tutti che il calcio è poesia, energia vitale messa a disposizione dei popoli da un dio che abbraccia ogni cultura e ogni strato sociale.
Edson Arantes do Nascimento è stato il figlio prediletto del dio del calcio. Sceso dal cielo ad insegnare l’amore tramite calci al pallone. Colui che ha reinventato la “dieci”, altro simbolo che fa del calcio una religione a tutti gli effetti. Parlare di statistiche è francamente imbarazzante: in questo modo si toglierebbe tutto ciò che di bello ha avuto la sua presenza, significherebbe gettare alle ortiche decenni di sentimento. No, non ci stiamo. Pelè come Maradona è avulso dai numeri, non può essere riposto in mere classifiche o liste ad invecchiare tra i dati. Perché i miracoli non posso essere categorizzati.
Il miracolo di Pelè: il non gol più bello della storia del calcio
Come possiamo ricordare un’azione che non è finita in gol? Ognuno di noi ricorda marcatori, assistman o parate significative, ma le belle azioni prive di un bel finale sono rare da ricordare. Eppure, Tostao che passa il pallone, Pelè che finta e Mazurkiewicz che non riesce a capire in che mondo parallelo è stato trasportato, rimarrà una delle immagini più evocative della storia del calcio. Quando Pelè riprende la palla dopo aver aggirato il portiere dell’Uruguay, calcia: qualche rimbalzo e la palla finisce fuori ad un centimetro dal palo. Un errore? No. Il dio del calcio ha tremato dinanzi quel gol e ha deviato all’ultimo il pallone. La sua presenza e la sua essenza sarebbero state compromesse dal gesto della sua stessa propaggine. Inconcepibile. Un non gol che non fa felici coloro che analizzano i dati ma che esalta chi crede ancora nel pallone mosso da una forza ultraterrena.
Quel movimento dettato dell’inconscio, unico nel suo genere, non può che avvicinarci alla fede. Pelè ha dimostrato al mondo come il pallone potesse viaggiare in uno spazio-tempo incalcolabile creando pertugi nella realtà. Più che un’azione, quello è stato un segno giunto a noi della magia che si cela dietro questo sport. Contate pure i numeri, aggiornate le statistiche, ma ci sarà sempre un Pelè che oltrepasserà la cecità dei dati anche quando non si può urlare al gol. Questo è ciò che non passerà mai: l’illusione concentrata in una sfera che non applica rigide regole ma che stupisce con atti di fede necessari. L’inconscio fatto oggetto, questo è il calcio, materia che non si può studiare e dalla quale si è eletti.
La morte di Pelè è la stessa del calcio
Sì, è finita. Oramai ci possiamo affidare alle macchine e non più alla magia. Figure come quella di Pelè non nasceranno più. Inutile e imbarazzante fare paragoni con Mbappè: il francese è il più forte al mondo ma ragiona, si muove e vive come un robot. L’illusione non fa più parte di questo sport ed è stata soppiantata dai dati. Va bene così, è anche giusto che la bellezza abbia vita corta, altrimenti, diverrebbe succube della monotonia. Già ci pensano i dati a rasentare perfettamente la noia del calcio, seppur aggiornati di ora in ora.
Edson Arantes do Nascimento è stato forse l’unico giocatore a estendere lo spazio e il tempo nel ‘900. Un’estensione dell’anima, dal Brasile all’Europa, prima dei social e dei mass media. In silenzio, però, perché Pelè era un’immagine non un essere umano. Il calcio ha perso il suo figlio prediletto e, dopo Cruijff e Maradona, dovremo da ora in poi accontentarci delle statistiche, della statica emozione del calcio odierno che non attira più, perché la magia si è dissolta nell’aria tra spettacolarizzazione e urgenza di protagonisti. Quando, una volta, i protagonisti non calcavano solo il campo da gioco ma avevano una luce celestiale che circondava i loro corpi da meri esseri umani e volavano toccando il cielo con un dito.
Lorenzo Tassi