Oggi non si sente molto parlare di pederastia: una relazione, pedagogica e carnale, tra un uomo adulto e un adolescente.
La pederastia deriva dalla lingua greca e letteralmente significa “amore per i ragazzi”. Il termine deriva dalla radice παίδ-, ragazzo/fanciullo e da ἐραστής, amante o colui che ama. Un tema difficile che nei secoli è stato oggetto di dibattiti feroci, mancati diritti, insieme all’omosessualità. Nel mondo antico, soprattutto in Grecia, la pederastia simboleggia la crescita etica e culturale che il giovane adolescente percorre sotto la guida di un adulto. Perciò il giovane è educato, cresciuto ed istruito su tutti i fronti: compreso quello erotico e sessuale. Ma nella pratica cos’è la pederastia ed è simile all’attuale pedofilia? Come vivevano gli antichi greci e romani la sessualità? Scopriamolo.
La pederastia nel mondo greco
Nel mondo greco il concetto di sessualità è radicalmente diverso da quello odierno. Intanto, oggi distinguiamo tra eterosessuale ed omosessuale, i greci non avevano una parola in ambito sessuale, ma c’era il concetto di virilità. Con questo termine si intendono una serie di attività che l’uomo poteva fare: combattere in battaglie, parlare e partecipare alle assemblee e infine anche la vera e propria attività sessuale. Perciò la pederastia nel mondo greco consiste in un processo educativo in cui l’uomo, all’età di 17-18 anni, dopo essersi sposato educa in tutti gli ambiti un giovane ragazzo. A sua volta questo, dopo aver raggiunto l’età adulta, lascia la relazione pederastica, si sposa ed educa un giovane fanciullo. Il pederasta ottiene, in questo modo, importanti valori etico-sociali che gli permetteranno di raggiungere la virilità in età adulta. Tutto ciò non si può quindi assolutamente paragonare alla nostra attuale pedofilia.
…e nel mondo romano
Nel mondo romano invece il concetto di pederastia e sessualità si complica. Prima dell’influenza greca, Roma condanna legalmente l’omosessualità. In periodo repubblicano i partner sessuali del cittadino sono gli schiavi e i liberti, gli ex schiavi liberati. Dopo l’annessione della Grecia le cose cambiarono leggermente, tuttavia per un patrizio, cittadino abbiente di buona famiglia, è immorale avere rapporti carnali con un minorenne di buona famiglia. Dunque i cittadini romani possono avere rapporti omosessuali, quindi non pederasti, con schiavi e liberti. Un concetto fondamentale a Roma è la “continentia”, ossia la moderazione. Dunque l’uomo romano può avere moglie e amante a patto che quest’ultima sia rispettata e non trascurata. Il rispetto della propria sposa spesso va incontro a contraddizioni: ad esempio Marzia, moglie di Catone l’Uticense, è stata “prestata” a Quinto Ortensio Ortalo per fini procreativi. Dante Alighieri nel Canto I del Purgatorio descrive il dialogo proprio con Catone.
Luca Patrucco