La satira è un genere, per definizione, che pone l’attenzione sulla critica, in chiave spesso ironica, della società. Ormai siamo come abituati a vedere e ad associare la satira solo a un aspetto prettamente politico, benché circolino, con estrema fluidità soprattutto sui social, immagini, vignette o pensieri anche sulla società (ovvero noi, per chi non lo avesse ancora realizzato). Per strane abitudini di pensiero ormai consolidate dall’anestetizzante vivere quotidiano sui network in giro per il web, la satira sembra sempre colpire qualche malcapitato di passaggio davanti una vignetta o un’immagine significativa, perché stupito dal fatto che quella stessa immagine stia criticando proprio lui. Ma come? Non sono né un politico né un personaggio di rilievo, perché sento che questa illustrazione mi stia, in qualche modo, rimproverando qualcosa, si stia burlando di me? Perché è questo, il vero ruolo della satira: fare riflettere, criticare, ricordarci che non è proprio il caso di prenderci tanto sul serio. Possiamo essere stupidamente imbarazzanti senza essere necessariamente personaggi di spicco dello spettacolo o della politica (semmai esista ancora una differenza tra i due ambiti). Siamo uomini comuni e in quanto tali soggetti al mirino della satira.
Pawel Kuczynski, polacco di Szczecin, classe 1976, dopo essersi laureato alla Fine Arts Academy di Poznan come grafico, ha cominciato la sua carriera di illustratore satirico nel 2004 conquistando centinaia di premi in giro per il mondo.
Le sue illustrazioni non fanno molto ridere, non sono ironiche, anzi: sono terribilmente amare. Scorci di società in cui siamo invischiati tutti e davanti alle quali, con estremo stupore, ci sentiamo in colpa.
Non sono vignette, con linee e colori forti ma appena tratteggiati, bensì vere e proprie immagini con un loro volume e una loro intensità, per rendere tutto ancora più ritrattistico e reale. Figure che si affiancano, senza separarsi, in due scenari diversi che suggeriscono una stessa, brutta realtà.
Andando sul suo sito potrete vedere un gruppo delle sue opere principali dentro le quali non troverete granché da ridere, ma sicuramente qualcosa su cui riconoscervi. C’è anche la politica, ovviamente, ma quasi in secondo piano, come se Kuczynski volesse porre l’attenzione innanzitutto su di noi, su quello che facciamo e su come scegliamo di farlo. E riflettendoci, non può che avere enormemente senso, in questa maniera: i politicanti che ci ritroviamo sul capo, per quanto infimi e corrotti, siamo noi che li abbiamo scelti, noi che abbiamo permesso arrivassero dove sono arrivati. Un popolo di corrotti -in tutte le forme in cui un uomo può corrompersi-, governati da un gruppetto di corrotti all’interno di una società corrotta e storta. E questo Kuczynski ce lo ricorda e, facendo satira nel pieno del suo significato, lo sottolinea.
L’incredibile forza delle sue illustrazioni sta dunque in questo: ricordarci che siamo tutti sotto il mirino della satira e che non sempre fa ridere, magari fa un po’ male ma, almeno, questo ci ricorda che abbiamo ancora un briciolo di coscienza per rendercene conto e se ne prendiamo atto, forse possiamo sempre fare un passo indietro e raddrizzare le cose. Kuczynski ci concede questo specchio, su cui rifletterci e riflettere.
Su come utilizzare la nostra coscienza, in seguito, è una nostra scelta. Ma, ehi, non si dica che nessuno ci aveva avvisato!
Gea Di Bella