La settimana precedente il referendum ci ha lasciati Claudio Pavone, decano degli storici italiani, alla bella età di 96 anni. Se Matteo Renzi e il suo cerchio magico avessero letto i libri di Pavone forse non sarebbero finiti come sono finiti.
Perché forse non avrebbero commesso l’errore di prendere lucciole per lanterne – cioè di scambiare un referendum per un plebiscito, cosa che Pavone seppe distinguere bene.
Stiamo tutti ancora a discutere del significato del clamoroso ribaltamento della politica renziana, a seguito del 60% di No espressi in occasione del referendum costituzionale.
Le chiavi di lettura sono diverse, ma in questa sede vorrei mettere l’accento su quella che punta sul clamoroso errore di Renzi : che ha promosso un referendum con l’intenzione di trasformarlo in un plebiscito.
Se il politico toscano, oltre agli spin doctors e ai guru del marketing, avesse letto qualche buon libro di storia, credo non avrebbe commesso uno sbaglio così grande.
Sarebbe bastato leggersi “Appunti sul principio plebiscitario”, un saggetto denso e rigoroso del 1996 in cui Pavone ripercorreva quanto scritto in merito al plebiscito, e al suo rapporto con le altre categorie concettuali chiamate in causa col referendum.
Cioè sovranità popolare, democrazia, nazione, rappresentanza, popolo e populismo – nonché differenza fra democrazia diretta e rappresentativa.
Referendum e Plebiscito: lucciole per lanterne
Pavone fra l’altro sottolineava due cose:
- che un plebiscito rappresenta qualcosa di più della democrazia diretta contrapposta a quella rappresentativa.
Perché quest’ultima presuppone la distinzione e articolazione degli interessi – elezioni pluripartitiche.
Invece il plebiscito, come dice la parola stessa, si rappresenta il corpo elettorale, cioè il Popolo, come una Plebe, cioè una massa indistinta e quasi inorganica.
Un gregge, cui il Leader chiede fiducia assoluta come “capobranco” – in una prospettiva più paternalistica che rappresentativa e razionale.
Insomma: mentre si è sentito dire che questo referendum avrebbe contrapposto un rafforzamento della democrazia rappresentativa rispetto a quella diretta (e sottinteso populistica e demagogica) dei grillini – invece Pavone definiva il Plebiscito un esempio di democrazia “iperrappresentativa”.
Inoltre
- Pavone ricordava gli esempi storici, dal primo plebiscito napoleonico di inizio ‘800, fino a quelli nazifascisti e staliniani.
Chiarendo come, diversamente da un referendum, un plebiscito si basa su due elementi.
Il primo: che presenta una alternativa “truccata”, nel senso che chiede di dire Sì ad una prospettiva unica e inevitabile– presupponendo che il No non sarebbe altro che il Caos.
Il Sì configura un assetto politico; il No l’anarchia e l’incertezza assoluta.
Va da sé che una parte della campagna per il Sì ha voluto incorporare questo elemento tecnicamente “terroristico” nelle proprie argomentazioni, sostenendo che il No “porterà all’ingovernanbilità, a tornare al passato, al crollo dei mercati, all’uscita dall’Europa” in definitiva al disastro totale.
Un plebiscito per una democrazia truccata
Legato a questa dinamica retorica, spiega Pavone, c’è quella fondamentale per cui in effetti i plebisciti li organizza (anzi, li celebra, per autocelebrarsi e autoincoronarsi come i Napoleone del passato) proprio chi già detenga il Potere.
Per cui è un fatto che il No non porterebbe a nient’altro: se non al caos, oppure ad una ulteriore stretta autoritaria e violenta, di un Potere ormai sovrano che cerca una legittimazione formale – e non accetterebbe mai di essere davvero disarcionato.
Insomma: a seguir Pavone, i referendum sono pratiche democratiche, organizzate dagli amministratori per verificare il consenso dei liberi e sovrani cittadini.
I plebisciti, mi sentirei di dire io, sono pratiche post-democratiche, organizzati da chi già detiene il potere, per ricevere una investitura carismatica dalla plebe – in cui nell’era della postdemocrazia (cit. Colin Crouch) si trovano ad esser trasformati i cittadini.
Non aver capito queste cose, e aver organizzato un referendum come fosse un plebiscito su di sé, ha rovinato Renzi e il suo blocco di potere.
Perché, anche considerando la reazione veeemente dei cittadini alla tendenza a trasformarli in masse passive – caratteristica evidente di quest’epoca storica, che altri chiamano “era dei populismi globali” – ecco, il non aver capito questo dimostra i limiti culturali di ogni renzismo.
Insomma, organizzare un plebiscito adesso, non poteva che rovesciarsi in un anti-plebiscito – in un alluvionale voto di s-fiducia.
Sarebbe bastato leggere quel saggio di Pavone : “Appunti sul principio plebiscitario”, pubblicato in una raccolta dal titolo “Le virtù del politico”.
Appunto.
ALESSIO ESPOSITO (www.facebook.com/tiggistoria)