La paura è un’emozione primaria transitoria che determina una reazione fisiologica a una situazione avvertita come pericolosa. Una risposta istintiva al mondo circostante che accomuna ogni essere dotato di intelligenza.
Nonostante il carattere di comunanza, il modo in cui il pericolo viene percepito – almeno per quanto riguarda la specie umana – presenta una significativa variazione tra i generi. Il dislivello di percezione della paura tra uomo e donna è stato confermato da studi e ricerche, i cui risultati dovrebbero indurre la società a porsi interrogativi sulle cause e le conseguenze da cui questo è originato.
Numerose sono le indagini e le pubblicazioni sui pericoli concreti riguardanti la violenza di genere, in questo articolo, invece, verranno illustrate le motivazioni nascoste, invisibili, che trovano una spiegazione nella ricerca storica e sociologica.
Dunque, come nasce questa paura? Quali sono le radici storiche, religiose, culturali e sociali che hanno strutturato la sensazione di particolare vulnerabilità nella donna? Quali sono le conseguenze della paura nella vita della donna? per poter indagare queste ragioni e tentare di rispondere occorre prima soffermarsi sugli ultimi studi.
La donna negli spazi pubblici ha più paura dell’uomo: lo dimostrano gli studi
Se, per lungo tempo, l’idea che le donne avessero più paura a muoversi negli spazi pubblici rispetto agli uomini si è mostrata come mera ipotesi, oggi, grazie a uno studio pubblicato nel 2024, diviene tesi dimostrata empiricamente.
Il recente studio, “Gender-based heat map images of Campus walking Settings: a reflection of lived experience” , ha illustrato che le donne, rispetto agli uomini, adottano strategie visive e comportamentali differenti, dovute alla diversa percezione del pericolo. Lo studio, attraverso l’osservazione e la messa a confronto del movimento oculare di donne e uomini, ha denotano da parte delle prime una focalizzazione sul perimetro, mentre dagli ultimi una costante concentrazione sul percorso davanti a sé.
Il posizionamento dello sguardo femminile sulle zone d’ombra perimetrali, rispetto a quello maschile orientato frontalmente sulla strada da percorrere, denota una maggiore attenzione delle donne ai potenziali pericoli dell’intorno. Risulta evidente come l’uomo sia improntato a condurre il suo cammino con minor timore, proseguendo senza porsi domande sui pericoli circostanti. La donna, invece, dominata da un senso di insicurezza, mantiene un atteggiamento di allerta costante, vigilando passo dopo passo ogni frangente del tragitto.
Tale evidenza trova ulteriore riscontro nei dati rilasciati dall’ISTAT, secondo cui il 16,4% delle donne si sente insicuro quando esce di sera, contro il 7,4% degli uomini. Inoltre, il 19,5% delle donne evita di uscire per paura, contro il 5,3% degli uomini. Questi dati mostrano un gap tra uomo e donna che si traduce nell’evidenza di una limitazione della libertà della donna nel vivere lo spazio pubblico.
Ma quali sono le cause, dove si costruisce questa sproporzione di percezione della paura?
Questo atteggiamento differenziale è il prodotto della storia: la paura che le donne sperimentano negli spazi pubblici non è da ricondursi a un fenomeno casuale né meramente individuale, sicché, piuttosto, coincide con il risultato di una costruzione storica e sociale sedimentata nel tempo.
Indagare le cause
Secondo Gordon & Riger (1989) “Si tratta di un fenomeno razionale che deriva non solo dal background personale delle donne, ma anche da ciò che le donne come gruppo hanno assorbito dalla storia, dalla religione, dalla cultura, dalle istituzioni sociali e dalle interazioni quotidiane. Appresa precocemente nella vita, la paura femminile è continuamente rafforzata da entità come la scuola, la chiesa, la legge e la stampa. Molto viene appreso anche da genitori, fratelli, insegnanti e amici.”
La paura percepita dalla donna non rispecchia dunque un’emozione individuale, ma un costrutto collettivo che viene tramandato e alimentato. Tale processo si manifesta in molteplici modi, dai consigli genitoriali alle norme sociali implicite che regolano il comportamento femminile. Il controllo maschile non avviene più solo attraverso strumenti visibili (come leggi e divieti), ma anche attraverso dinamiche invisibili di condizionamento psicologico.
La donna, nel corso della storia, è stata vestita di svariate maschere che hanno delineato la sua figura a seconda dello specifico immaginario del momento. Una figura che, nonostante le varianti di ritratto imposte dalle costruzioni sociali, percepiamo come unitaria, e la cui unitarietà è data da una qualità collante: il “non essere uomo”, essere altro dalla norma.
Le maschere assegnate al genere femminile passano dalla donna angelo alla donna vampira, dalla madre riproduttrice alla strega da bruciare, dal “sesso debole” da proteggere (e dominare) alla personificazione dell’isterismo da curare. Insomma, le variazioni elencate manifestano ruoli ben distinti, eppure, tutte sono sorrette da un punto comune: l’inferiorità e la subordinazione rispetto alla norma incarnata dall’uomo.
Il dominio maschile si è manifestato nel corso dei secoli attraverso norme e narrazioni culturali che hanno condotto la donna a una posizione e percezione di inferiorità. Sin dall’antichità, la figura femminile è stata associata alla fragilità e al pericolo morale, contribuendo alla formazione di un senso di insicurezza e vulnerabilità strutturale che fonda le sue radici nel passato e ne vede i frutti ancora oggi attraverso l’istinto della paura.
Origini storiche: la costruzione della paura
La paura che la donna percepisce nel vivere lo spazio pubblico non è un dato naturale, intrinseco o innato, ma il risultato di una storia di oppressione e disciplinamento della figura femminile. Nel mondo antico, la donna era considerata un essere fragile e inferiore: Aristotele la descriveva come un “uomo imperfetto”, privo della stessa capacità razionale. Nelle società greca e romana, l’onore femminile era legato alla clausura domestica, e la trasgressione delle norme di comportamento poteva portare a punizioni esemplari.
Durante il Medioevo, il controllo del corpo femminile si intensificò attraverso la religione: a figura della donna veniva divisa tra la purezza della Vergine Maria e la pericolosità della strega, responsabile di ogni sciagura sociale. La caccia alle streghe, esplosa tra il XV e il XVII secolo, fu un meccanismo di demonizzazione che contribuì a radicare nella psiche collettiva l’idea della donna come soggetto da temere e controllare.
Nel XIX secolo, la figura femminile venne intrecciata al concetto di isteria, patologizzando ogni forma di ribellione della donna alle norme sociali imposte dal patriarcato. Anche Freud contribuì a questa visione, interpretando i disagi delle donne come espressioni di conflitti interni, intrinseci alla sua natura, piuttosto che di oppressione sociale.
La storia esemplifica un ininterrotto susseguirsi di fenomeni di demonizzazione della donna, di oppressione, di manipolazione della sua figura, di costruzione delle sue funzioni e quindi del significato e dell’importanza da attribuirle. Se la storia ha educato uomini e donne a riconoscere la figura femminile come poco efficiente, fragile, e pericolosamente irrazionale; Se nella storia, la donna, è stata perseguitata e ha dovuto imparare a scappare e proteggersi, non è impensabile che tale concezione giunga all’età contemporanea sotto forma di istinti di conservazione quale la paura.
Dominio maschile e violenza simbolica come riproduttori della paura femminile
Pierre Bourdieu, nel suo saggio “Il dominio maschile” (1998), ha analizzato i meccanismi attraverso cui la subordinazione delle donne si perpetua nelle società moderne. Secondo Bourdieu, il patriarcato non si manifesta unicamente attraverso atti di violenza diretta, ma si sedimenta nel corpo sociale attraverso pratiche quotidiane e schemi cognitivi introiettati dagli stessi individui oppressi. Il concetto di “habitus” è centrale per comprendere come la paura femminile sia il prodotto di una socializzazione che impone alle donne una postura di vigilanza e autocontrollo costante.
Bourdieu evidenzia come il dominio maschile si presenti come una forma di violenza simbolica, nonché, secondo la sua definizione, “quella forma di violenza che viene esercitata su un agente sociale con la sua complicità”. Le donne apprendono fin da piccole a interiorizzare un senso di insicurezza e vulnerabilità, alimentato dai discorsi pubblici, dalle narrazioni mediatiche e dalle pratiche educative proposte nel corso della storia, conducendo la donna a sentirsi inabile e acuendo la sensazione di insicurezza.
Verso la consapevolezza, verso la libertà
Attraverso l’analisi storica e sociologica emerge come la vulnerabilità percepita dalle donne sia il risultato di dinamiche disciplinamento diretto e indiretto che ha attraversato epoche e culture. Riconoscere questo meccanismo significa assumere una postura diversa rispetto alle dinamiche di patriarcato interiorizzato e permettere alla donna di vivere i luoghi e le esperienze senza doversene privare a causa della paura.
Alessandra Familari