È impossibile non conoscere la vicenda dell’arresto di Patrick Zaki, lo studente egiziano iscritto ad un master dell’Università di Bologna.
La vicenda, soprattutto in Italia, ha richiamato immediatamente alla mente, seppur con le dovute differenze, il caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso al Cairo nel 2016. Per Giulio, dopo quattro anni, il governo italiano non è riuscito ad ottenere un barlume di verità.
Patrick Zaki è stato arrestato appena atterrato all’aeroporto del Cairo, la mattina del 7 Febbraio 2020
Le sevizie per lui hanno avuto inizio al momento della cattura. Per 17 ore è stato tenuto bendato nell’ufficio dell’Agenzia della sicurezza nazionale dell’aeroporto. In seguito al trasferimento a Mansoura, poi, è stato sottoposto a diversi tipi di violenze fisiche e verbali, identificabili come torture.
Tra le accuse che gli sono valse l’arresto c’è quella di istigazione al rovesciamento del regime
I media egiziani, di fronte alla mobilitazione internazionale e, prima di tutto, italiana, hanno sottolineato il fatto che Patrick Zaki è un cittadino egiziano. Il governo di al-Sisi ha, quindi, classificato l’attenzione al caso da parte dell’opinione pubblica italiana come ingerenza negli affari interni di un altro Stato.
Come nel caso di Regeni, inoltre, è immediatamente cominciata una campagna di discredito della sua persona, principalmente basata sulla messa in circolazione della notizia della sua presunta omosessualità. Questo orientamento sessuale, in Egitto, costituisce reato.
Dopo una settimana di permanenza nel carcere di Monsoura, che ospita principalmente prigionieri politici, Zaki è stato trasferito a Talkha, in una struttura dove si trovano persone ritenute colpevoli di crimini comuni. Qui, in una condizione detentiva che il suo legale ha definito “meno favorevole”, ha potuto vedere, seppur per brevissimo tempo, i suoi familiari.
Nel corso dell’udienza fissata per la mattina di oggi, Sabato 15 Febbraio, inoltre, le autorità giudiziarie egiziane hanno respinto la richiesta di scarcerazione del ragazzo
Tra le voci che in Italia e in Europa si sono levate in difesa di Patrick, oltre a quelle dei suoi compagni di studio, ci sono quelle del rettore dell’Alma mater studiorum, Università di Bologna, Francesco Ubertini, del sindaco di Bologna, Virginio Merola, e del presidente del parlamento europeo David Sassoli. Quest’ultimo, durante una conferenza stampa tenutasi il 12 Febbraio ha pronunciato queste parole:
Voglio ricordare alle autorità egiziane che l’UE condiziona i suoi rapporti con i paesi terzi al rispetto dei diritti umani e civili.
Per Lunedì 17 Febbraio la comunità studentesca bolognese ha indetto un corteo con partenza alle 18.00 da via Zamboni 33, sede del rettorato.
È importante però ricordare che il caso di Patrick Zaki e, come i suoi genitori si impegnano a ripetere da quattro anni, anche quello di Giulio Regeni, si inseriscono in un quadro di violazioni gravi e continue del rispetto dei diritti umani commesse dal governo egiziano
L’ultimo rapporto di Amnesty International a proposito della situazione egiziana è stato pubblicato nel Giugno 2019 e rende conto di un contesto sociale in cui, ogni giorno, vengono sequestrati e sottoposti a trattamenti inumani attivisti, manifestanti pacifici, sindacalisti e difensori dei diritti umani. La stessa organizzazione, in un appello rivolto alla comunità internazionale pubblicato nel Novembre dello stesso anno, denunciava il fatto che nei pochi mesi trascorsi dal report la situazione dei diritti in Egitto era ulteriormente peggiorata.
Non si può dire, del resto, che la posizione presa a livello internazionale dall’Egitto riguardo il rispetto dei diritti fondamentali degli uomini, sia ferma e decisa
L’Egitto, infatti, si è limitato a ratificare la Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli e degradanti, risalente al 1984. Questo documento, però, presenta vincoli giuridici limitati e prevede solamente la presentazione, ogni quattro anni, di un rapporto da parte dello Stato interessato. Il Protocollo opzionale del 2003, che prevede lo svolgersi di regolari visite di controllo da parte di organismi autonomi internazionali, non è stato firmato dallo Stato egiziano.
Sapendo tutto questo, a dispetto delle apprezzabili parole del Presidente Sassoli, gli Stati europei non limitano i propri rapporti con lo Stato egiziano
Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, si registra una certa ambiguità. Dal punto di vista economico le interlocuzioni si sono intensificate, soprattutto se si guarda al campo energetico. Si è affievolita, invece, la forza con cui viene avanzata la richiesta di notizie riguardanti i responsabili delle torture e dell’uccisione di Regeni.
Parlando di fronte alla commissione parlamentare che si occupa del caso, in occasione dell’ultimo anniversario della morte di Giulio, i suoi genitori hanno lamentato proprio questa ipocrisia. I due, in particolare, hanno denunciato il fatto che l’ambasciatore italiano al Cairo non risponde loro da tempo sulla questione della ricerca della verità per il figlio.
In molti, poi, in questi giorni si sono domandati il motivo per cui dovrebbe riguardarci il caso di Patrick Zaki.
Quale diritto avremmo noi italiani, noi europei, di chiedere la libertà di quel ragazzo che, seppur attualmente studente presso una delle nostre università, è un cittadino egiziano?
La risposta non potrebbe essere più semplice. Le violenze subite da uno offendono tutti. La dignità violata di un uomo riguarda l’umanità intera. La domanda non dovrebbe, quindi, essere perché chiediamo la libertà di Patrick Zaki, ma piuttosto perché non chiediamo quella di tutti gli altri innocenti reclusi nelle carceri egiziane. Tra la stipula di un accordo economico e l’altro, si intende.
Silvia Andreozzi