La morte di Patrick Guarnieri, il ragazzo romanì di 20 anni con disabilità certificata, avvenuta il 13 marzo all’interno della Casa Circondariale Castrogno di Teramo, ha suscitato clamore e indignazione non solo per le dinamiche poco chiare, ma soprattutto perché l’ambiente carcerario è incompatibile con quelle che erano le esigenze di Patrick e lui, al momento della sua morte, non doveva trovarsi al Castrogno. Abbiamo parlato di Patrick, delle valutazioni che hanno portato alla sua morte e del fallimento del sistema carcerario italiano con la Presidente del Coordinamento Codice Rosso e famigliare di Patrick Guarnieri Adele Di Rocco.
Ciao Adele e intanto grazie per la tua disponibilità. Iniziamo dal principio: chi è Adele Di Rocco e chi era Patrick Guarnieri?
Mi chiamo Adele Di Rocco e sono il Presidente del Coordinamento Codice Rosso, mi occupo di violenza di genere, soprattutto di femminicidi, violenza in famiglia e anche dei minori coinvolti in queste dinamiche familiari violente. Sono anche famigliare della famiglia Guarnieri.
Così già conoscevi Patrick Guarnieri?
Sì, aldilà del legame di parentela anche a livello legale perché Patrick era seguito dall’Avvocato Gianfranco Di Marcello da quando aveva 10 anni, dato che purtroppo è nato con un disturbo dello spettro autistico. Oltre l’autismo, era anche affetto da sordità, nei primi anni della sua vita dialogava con il linguaggio dei segni (LIS). Abbiamo risolto il problema della sordità quando era ancora un bambino grazie ad una struttura sanitaria fuori regione che gli era stata consigliata, in cui Patrick ha subito un’operazione molto rischiosa, già allora rischiò di morire.
Oltre a queste patologie, gli era stata certificata anche la cleptomania, un disturbo che porta a rubare futili oggetti ed è fuori dal controllo della persona. Patrick Guarnieri era seguito dalla famiglia, dagli psicologi, dai servizi sociali ed è stato ospite delle migliori strutture, purtroppo fuori dall’Abruzzo e dalle Marche perché i nostri territori sono sprovvisti di strutture adeguate al trattamento congiunto del disturbo dello spettro autistico e della disabilità uditiva.
Patrick nel suo percorso aveva fatto veramente tanti progressi, nel momento in cui tornò a sentire cominciò ad amare la musica, a ballare, anche a canticchiare; certo, quando parlava si comprendeva che purtroppo aveva dei disagi. Era bellissimo, altissimo ed era pieno di vita, pieno di gioia. Esistono molte forme del disturbo dello spettro autistico, quello di Patrick era vivace, non ha mai fatto male a nessuno e soprattutto a sé stesso. Dico questo particolare perché sarà importante ricordarlo per quando saranno pronti i risultati dell’autopsia, abbiamo richiesto esami ulteriori e ci vogliono dai 30 ai 60 giorni, è troppo presto per parlare di suicidio.
Ci sono degli esami dell’autopsia che dobbiamo attendere e naturalmente per avere la relazione completa non basta il medico legale incaricato dal Tribunale, il Dottor Sciarra, ma serve anche la valutazione del nostro perito il quale ha già constatato che è troppo presto per avere una diagnosi, è troppo presto per parlare di suicidio.
Quindi Adele, confermi che Patrick era una persona con la gioia di vivere, nonostante il disturbo dello spettro autistico. Poi cosa è successo nel carcere di Teramo? Perché adesso Patrick non c’è più?
Come dicevo, Patrick era molto gioioso, rideva, se guardiamo i suoi social, Tik-Tok, si nota che era un ragazzo, lo prevede la patologia, che non riusciva a stare fermo. Era un giocherellone, gli piaceva scherzare, voleva tanti amici, gioiva persino su Tik-Tok, se aveva un follower in più esplodeva per la vita che aveva dentro. Patrick era incompatibile con la detenzione in carcere.
Patrick era sotto le restrizioni domiciliari ed è tornato nel carcere di Teramo perché aveva violato la misura domiciliare. Era sotto restrizioni per la cleptomania, abitiamo in realtà piccole dove ci conosciamo tra di noi e chi lo conosceva conosceva anche il suo problema e sapeva che era innocuo. L’hanno arrestato perché è andato a restituire la merce che aveva rubato. Non capisco per quale motivo il giudice abbia autorizzato il trasferimento in carcere, potevano confermargli gli arresti domiciliari o ricoverarlo in una struttura idonea, bastava aprire il suo fascicolo, c’è stata tanta negligenza nella valutazione del caso di Patrick Guarnieri.
Che cosa è successo dal momento del suo arresto in poi?
Patrick viene prelevato a casa dalle forze dell’ordine e lì accusa un attacco di panico. Così viene portato prima al pronto soccorso per un controllo sanitario, dopodiché lo trasferiscono in carcere. Da lì, ce lo restituiscono morto.
Sembra quasi un caso Cucchi
Esatto, Stefano Cucchi, Mario Biondo. Fortunatamente, la scienza e la medicina ci insegnano che comunque il corpo parla, quindi vogliamo e dobbiamo attendere tutti i risultati. Sicuramente, Patrick è stato dimesso dal pronto soccorso senza aver rivelato nessun tipo di diagnosi grave, né a livello fisico né a livello mentale, solo per l’attacco di panico che aveva avuto al momento dell’arresto. Questo è successo la sera e la mattina ce lo hanno restituito senza vita, non sono passate neanche sei ore dall’ingresso in carcere alla sua morte.
Il riconoscimento del corpo lo hanno fatto fare alla madre di Patrick, che è detenuta nella sezione femminile del carcere di Teramo e questo è vergognoso perché è stato un atto di brutalità estrema nei confronti di una madre che non solo ha perso un figlio, ma lo ha riconosciuto tramite le guardie del Castrogno, che hanno portato questo sacco nero da lei. La madre di Patrick pensava fosse una sorpresa e invece dentro c’era il figlio, tanto amato, senza vita.
Se il Castrogno aveva la necessità di far riconoscere la salma di Patrick, per quale motivazione lo ha fatto fare ad una madre che è già in detenzione? Ci sono i famigliari fuori e poi già sappiamo che il riconoscimento non serviva visto che Patrick Guarnieri al momento della morte era sotto la custodia del carcere, perché aggiungere questa crudeltà a una situazione già tragica?
Quando la salma di Patrick è stata restituita ai famigliari, è stato loro comunicato che Patrick si è suicidato. In che modo lo ha fatto e perché la sua famiglia ritiene che ci siano delle incongruenze?
Dal Castrogno hanno riferito che Patrick è stato ritrovato nel bagno della cella impiccato alla finestra, il cappio fatto con un lenzuolo. Da lì il padre di Patrick ha depositato una denuncia per conoscere le reali motivazioni e capire quello che è accaduto davvero all’interno del Castrogno. Quindi, chiediamo il sequestro della videosorveglianza del carcere. Una volta aperta l’indagine, dalla Procura hanno nominato un medico legale, a cui noi abbiamo affiancato il nostro medico di parte.
Le incongruenze riscontrate sono tante, non possiamo ancora parlarne perché ci sono le indagini in corso, posso dire che è da sottolineare che Patrick non era un lesionista e amava la vita. Non possiamo essere sicuri che si tratti di suicidio, sappiamo che anche in altre carceri purtroppo molti dei detenuti hanno denunciato abusi e violenze e l’altro giorno a Foggia sono stati arrestati dieci agenti penitenziari, sono usciti i video. Dobbiamo far capire all’opinione pubblica che è vero che Patrick viveva in un contesto difficile, ma era seguito.
Patrick è morto il giorno del suo compleanno, i fratelli gli avevano organizzato una festa a sorpresa. C’era tanto amore, tanta attenzione e non è stato mai lasciato da solo, né dalla famiglia né dalle figure di supporto come gli psicologici e lo dimostra il fatto che un bambino autistico e soprattutto un bambino con una grave disabilità come quella dell’udito, riusciva a comunicare. Questo avviene soltanto con anni ed anni di costanza, con tanti strumenti di cui fortunatamente Patrick ha potuto usufruire, sia per vivere al meglio la sua condizione di disabilità che per un domani avere la sua autonomia. Questo dice tanto.
Noi crediamo nella Magistratura, deve emergere la verità che comunque non restituirà mai Patrick ai genitori che lo hanno perso. Vedere un figlio morire è innaturale, è giusto che loro sappiano la verità, deve emergere perché non si tratta di una malattia o di un incidente stradale, la verità e la giustizia per i famigliari è una boccata di ossigeno, ma chi vive è comunque morto dentro. Sono morti ed è innaturale che un padre o una madre seppelliscano un figlio, non è il corso della vita.
A maggior ragione se i loro figli al momento della morte sono sotto la tutela dello Stato
Proprio per questo stiamo dando il via a delle raccolte firme dove chiediamo in maniera assoluta la revisione della legge carceraria per i reati minori, perché prima del caso di Patrick molti rappresentanti sono andati a protestare sotto, ma anche dentro il Tribunale per chiedere più sostegni per i carcerati. La legislazione è antica rispetto alle problematiche attuali, sappiamo che lo Stato ha impostato un bonus gratuito per il supporto psicologico, c’è una motivazione se il Ministero della Salute ha preso questa decisione.
Il succo della questione è che ci sono dei reati gravissimi come gli omicidi in cui vengono chieste le perizie psichiatriche e chi ha le perizie psichiatriche viene valutato idoneo ad essere detenuto. Questo non ha senso. Inoltre, il carcere è un mezzo per espiare la pena e non c’è dubbio, ma dovrebbe soprattutto avere una funzione educativa. Purtroppo, lo Stato non ha mai assistito sotto questo profilo i detenuti, tant’è che lascia la funzione educativa ai volontari e alle associazioni.
La realtà è che un uomo condannato per crimini violenti viene trasferito in carcere, ma durante il suo percorso non incontra una reale qualificazione dell’individuo. Quando quell’uomo finirà la sua pena, verrà restituito alla società e cosa farà?
Continuerà a delinquere
Certo, perché non è stato realmente rieducato, non ne ha avuto l’opportunità. Quei pochi ex detenuti che riescono a reinserirsi in società lo devono esclusivamente al volontariato, studiano, imparano un mestiere, trovano una speranza per un futuro nella società, perché prima o poi torneranno ad essere parte della vita sociale dell’Italia. Ad oggi questo è un fallimento giudiziario, sociale e costituzionale perché i diritti umani sono continuamente violati. Il Garante dei detenuti ha già dichiarato che la situazione è gravissima.
Tutto viene catalogato “suicidio”, ma non è così. Con Patrick Guarnieri siamo ai livelli di Stefano Cucchi e Mario Biondo. Noi non molliamo, andiamo avanti affinché la legge cambi e soprattutto perché Patrick e tutte le persone che gli volevano bene abbiano giustizia.
Dal 1992 sono state 4.677 le morti nelle carceri italiane, di cui 1750 con suicidio. Da inizio anno sono 63 le persone morte mentre erano sotto la tutela dello Stato e sono per lo più giovani, l’ultimo suicidio ieri a Poggioreale, dove un detenuto di 29 anni sembra essersi lasciato morire di fame. Persino il Sindacato della Polizia Penitenziaria con una nota ha espresso il suo sdegno per le condizioni in cui avviene il percorso riabilitativo, ritenendo che non si possano derubricare a “morte naturale” o “altre cause” tutte le morti che avvengono in carcere.
Come ha sottolineato Adele Di Rocco, queste dinamiche rappresentano il fallimento del sistema carcerario italiano. Il 27 marzo, in occasione della Giornata Internazionale Contro le Discriminazioni, ci sarà un presidio davanti Palazzo Chigi per chiedere giustizia per Patrick.
Aurora Colantonio